“Un vecchio amore è come un granello di sabbia, in un occhio, che ci tormenta sempre”, diceva Voltaire, e noi siamo in un immenso deserto di passioni, come quelle che abbiamo vissuto nella seconda serata di Trasimeno Blues festival, in cui risulta facile comprendere la fondamentale necessità di imparare ad affrontare anche le più tormentanti tempeste di sabbia; una delle burrascose opportunità donataci dalla vita per evolverci e crescere: viviamo costantemente perturbati da emozioni, fuochi, lutti e tristezza che si alternano, come in un passaggio di palla tennistico, con sentimenti che rendono la vita degna di essere vissuta, fino alla fine, quando arriva il sonno eterno. Il primo dei due concerti in programma alla Rocca, inizia così, all’insegna dei ricordi, delle emozioni forti e della passione, presenti nel cuore di artisti che hanno appena perso una figura fondamentale nel proprio percorso musicale. I due gruppi hanno infatti dedicato a Toumani Diabaté, il re indiscusso del desert blues e della kora, morto il 19 luglio scorso a soli 58 anni, commoventi parole e hanno chiesto al pubblico un minuto di silenzio per commemorarlo, trasportando il proprio dolore e ricordo in un’atmosfera toccante, in un linguaggio universale, senza bisogno di saper parlare la stessa lingua del pubblico del festival; Sia Kora Hero che Samba Tourè e i loro musicisti, nonostante si esprimessero spesso in lingue non comprensibili ai più, sono riusciti a far arrivare trasparentemente ogni emozione e sentimento tramite la loro musica e il loro linguaggio del corpo, per tutta la durata dei concerti, fin dal loro esordio. La notizia della scomparsa di Toumani Diabaté è stata data da suo figlio sui social, in cui ha scritto: “È Dio che dà la vita e che la toglie ed è a Lui che torniamo. Il mio confidente, il mio pilastro, la mia guida, il mio migliore amico, il mio caro papà se n’è andato per sempre”. Nelle note ammalianti e, a tratti energiche, della serata, è come se questo grande artista africano, fosse l’ospite d’onore. La giornata, seppur caratterizzata dalle prestazioni magnetiche delle band di Kora Hero (che ha aperto i giochi) e di Samba Touré e che lasciano il pubblico attonito per la meraviglia, inizia nel primo pomeriggio, quando, all’interno dello splendido scenario del Palazzo della Corgna, tra reperti etruschi e caratteristici affreschi cinquecenteschi, Gianluca Diana presenta il suo progetto editoriale, ormai alla terza edizione. Il suo libro, “Mariem Hassan, io sono saharaui”, è al centro dell’evento condotto dalla giornalista Antonella Bazzoli e dalla blogger del festival Maria L.T. Pasquarella. Lo scrittore e speaker radiofonico, nonché giornalista de “Il Manifesto” e di “Alias”, milita nell’ambiente romano e della black music da ormai tanto tempo e ci ha accompagnato, tenendoci per mano e trascinandoci nella storia di una giovane ragazza, Mariem Hassan appunto, a me sconosciuta precedentemente: nata e cresciuta nel Sahara occidentale e poi rifugiata in un campo profughi in Algeria, vicino alla città di Tindouf, è stata capace di esprimere se stessa in modo tale da elevarsi e trovare una vita migliore tramite la musica, viaggiando per il mondo senza mai dimenticare la propria origine, la propria essenza, il proprio io. Tutto ciò risulta fondamentale nell’afferrare appieno l’importanza di ricordare, pari a quella di conoscere, entrambe necessarie, sia per percepire noi stessi tramite la nostra storia, sia per percepire il mondo in cui viviamo tramite la sua storia, sia per evitare il grande e, in fondo, quasi inevitabile, nonché imperdonabile errore di lasciare che la storia, nella sua dimensione negativa, si ripeta. La storia ci insegna che l’uomo dimentica di continuo i suoi errori; basta pensare ai tanti genocidi, prevaricazioni, oppressioni di popoli che ancora vengono commessi quotidianamente: ricordiamo in primis l’Olocausto, ma anche i tantissimi altri popoli, ad esempio gli armeni, i kurdi, i ruandesi e l’elenco continua. Come evidenzia proprio Gianluca Diana, parlando dei conflitti che in questo momento distruggono le nostre terre e i loro abitanti, essi non riguardano solo l’Ucraina e la Palestina, ma ci sono diverse popolazioni che soffrono un genocidio, o una distruzione, come sta avvenendo per i Saharawi, che stanno affrontando una guerra che, per numero di morti, viene considerata una guerra minore e, per questo, passa in sordina, ma esiste. Si lasciano morire innocenti su innocenti, puramente per motivi economici. Ai concerti della sera, passando per l’emozionante concerto pomeridiano di Gio Cristiano, si arriva così, con questo stato d’animo, con più consapevolezza, con più contezza, con più coscienza, per entrare in contatto con culture distanti dalla nostra mentalità ancora eurocentrica e occidentalista, che spesso rifiuta la possibilità di imparare qualcosa da altre popolazioni, avendole storicamente rifiutate, ghettizzate o prevaricate spesso in modo violento. Si parte, dunque, con le vivaci e acute tonalità della kora, strumento protagonista e omonimo del korista e cantante del gruppo, Kora Hero, originario del Gambia, ormai fluente in italiano, infatti, durante il concerto si è espresso in diverse lingue, dall’inglese, all’italiano, a lingue autoctone africane. Con i suoi musicisti, Giulio Lattanzi alla chitarra, Dario Gabriele all’armonica e Muhammad Ndiaye (senegalese) al djembe, ha aperto la magica serata che ci ha fatto scoprire suoni e tonalità particolari con melodie che ci hanno fatto viaggiare sempre più nelle profondità del nero continente africano, partendo da tonalità e scale mediterranee come la scala frigia che, come tutte le scale modali, è diatonica, formata da cinque toni e due semitoni, per poi scendere lentamente verso l’equatore con scale arabe più melodiche, fino a scale tipiche del desert blues. Chiude questa serata, nella casa della calda mamma Africa, il gruppo di Samba Touré che, appena salito sul palco, saluta anche lui, Toumani Diabaté, esprimendo i suoi apprezzamenti e condividendo con il pubblico quanto sia stato ispirato da questo grande artista, scomparso pochi giorni prima del concerto, per poi iniziare subito con una straordinaria esecuzione di loro brani, ritmici, incalzanti e coinvolgenti, con strumenti che escono dal panorama musicale occidentale, catapultandoci improvvisamente in una cultura affascinante, non solo dal punto di vista musicale, ma anche da quello visivo. Infatti, con il poderoso chitarrista e cantante Samba Touré, vero e proprio bluesman del Niger, hanno suonato due incredibili musicisti che hanno saputo farci emozionare anche con strumenti sconosciuti ai più: il percussionista Souleymane Kane che, con l’unione dei suoi due strumenti, il calabash e il djembe, è stato capace di farci ascoltare i veri suoni che contraddistinguono l’Africa e, per ultimo, non per importanza, Djimé Sissoko, che ci ha deliziato per buona parte dell’esibizione con il suo n’goni, strumento a corde tipico del Mali, cugino della Kora, che porta anch’esso una vibrazione acuta e vivace all’esibizione. Infine, proprio Sissoko ha sfoderato uno stupefacente assolo con il suo tamani, chiamato anche percussione parlante, che è lo strumento caratteristico dei griot, i cantori-sacerdoti dell’Africa occidentale. Insomma, una giornata che ci porta sempre più giù verso l’Equatore, partendo dal Mediterraneo, con la carismatica musica di Gio Cristiano (chitarrista partenopeo), passando dal deserto del Sahara Occidentale di Mariem Hassan, arrivando al Mali fino al Gambia, grazie alla passione dei gruppi di Samba Touré e di Kora Hero per un viaggio culturale e musicale molto emozionante, spirituale e pieno di ispirazione all’insegna del blues.
(Raffaele Maria De Cristofaro)