L’Umbria è una terra miracolosa. Guarisce il cuore e l’anima con i suoi paesaggi collinari, le sue acque, le sue montagne, le sue città e i suoi borghi medioevali, il suo cibo, i suoi vini, i suoi tramonti indimenticabili sul lago Trasimeno. Ed è proprio su questo romantico lago (il quarto in Italia per grandezza) che, da tanti anni, ormai, passo una settimana di vacanza durante il periodo del Trasimeno Blues Festival proprio per godermelo. Sono un musicista e ho la necessità di sentire musica inedita per arricchirmi, confrontarmi, ascoltare nuove storie, incontrare altre persone e provare nuove emozioni. Il Festival permette tutto questo e lo dona anche a chi musicista non è, anche a chi ha semplicemente voglia di immergersi in un contesto naturale e artistico in cui la musica diventa protagonista. L’aspetto che, già dai suoi esordi, mi ha colpito di più, in assoluto, di questa manifestazione, è la sua genuinità che non ha mai perso, edizione dopo edizione, anche in tutti gli eventi correlati, come “Bianco, Rosso e Blues” e “Soul Christmas”, organizzati per alcuni anni rispettivamente in autunno e in inverno. Trasimeno Blues non si piega alle richieste di mercato. Posso solo immaginare quanto sia difficile portare avanti questo progetto, non tradendo questo ideale; quanto sia costoso e oneroso in termini di tempo, soldi, lavoro, ore di sonno, competenze. A tal proposito sono grato a tutti, ma proprio a tutti coloro che permettono la realizzazione di questo appuntamento annuale da quasi trent’anni. In tutto questo tempo, anno dopo anno, ho avuto modo di assistere a concerti di grandi artisti noti e tanti molto meno noti, in esibizioni di altissima qualità. Adoro il fatto che ci sia la possibilità per tanti, famosissimi e non, di avere un palco, una piazza, una strada o una rocca medievale (quella di Castiglione del lago è stupenda), un anfiteatro in mezzo a un parco (quello di Panicale), una spiaggia (quella del Sualzo) dove potersi esprimere o di essere parte di un pubblico che arriva da ogni parte per poter vivere, insieme, un’esperienza di immersione musicale sempre coinvolgente: una condivisione di suoni, di peculiarità musicali, di gesti, espressioni del corpo e dell’anima attraverso cui costruire sogni. È un festival inclusivo sia per giovani che meno giovani o “diversamente giovani” come me. Molto spesso è possibile avere anche spazio per la letteratura partecipando alla presentazione di molti libri che trattano sempre di musica e di tutto quel fantastico mondo che le ruota intorno. Da alcuni anni è stato anche attivato un blog che seguo sempre per i suoi articoli che sono delle narrazioni vere e proprie, in cui ritrovare le emozioni vissute durante il Festival (per chi c’è stato), o di potersi fare un’idea, (per chi non c’è stato), oltre a farci conoscere più da vicino gli artisti che si avvicendano negli spazi musicali e culturali di Trasimeno Blues. È bellissimo sapere anche che c’è molta attenzione al lato economico, infatti gli eventi non sono mai “impegnativi” prevedendo prezzi popolari e offrendo tanti concerti ed eventi gratuiti. Questo permette di vivere una dimensione autenticamente popolare e internazionale che difficilmente si trova in altri contesti. Una cosa è certa: Trasimeno Blues Festival per me è un ritorno, un ritrovarsi intorno al blues, da appassionati o per caso, ad ascoltare buona musica, a lasciarsi sorprendere. Finché avrò energie, finché avrò fede nella musica, finché il blues mi sosterrà, finché ci saranno persone come quelle che ho conosciuto in tanti anni, finché questo festival mi permetterà di arricchirmi umanamente e come musicista, nel cuore dell’estate, chiederò in prestito una macchina a qualche amico (io non possiedo auto), ci monterò sopra attraversando mezza Italia, dal nord al centro, o salirò su quel treno che, dalla Stazione di Milano Centrale, corre veloce verso Perugia, come i treni evocati spesso dal blues, e scenderò ad una delle stazioni di una delle incantevoli cittadine sparse intorno al lago, monterò la mia tenda in uno dei campeggi del luogo (quest’anno sono approdato all’Eden Camping Park di Torricella) e mi concederò la mia vacanza musicale fatta di blues, natura, cultura e umanità, come faccio ormai da quasi trent’anni. Spesso mi capita di venirci accompagnato da qualcuno della band, a volte con amici, a volte da solo e ognuna di queste dimensioni ha le sue peculiarità. Quest’anno ci sono venuto in macchina con Matteo Giussani, il nostro batterista e Antonello, un nostro amico, anche lui appassionato di blues, che ci ha raggiunto con la sua moto. Ho iniziato a seguire il festival dalla fine degli anni ’90 e non si contano gli artisti che custodisco nella memoria. Degli ultimi anni, ho un ricordo emozionante di Noreda Graves e di DeLila Black, le due donne che mi sono piaciute di più nel corso di questi anni, per la loro interpretazione, in particolare, nelle frasi tipiche del linguaggio gospel e soul in cui riuscivano a usare dei vibrati molto lunghi, in modo molto sentito, per niente artificioso e decisamente naturale. Mi hanno fatto ritrovare l’atmosfera delle origini di questi generi musicali che ho potuto apprezzare nel mio viaggio negli Usa. Tra i concerti italiani ricordo quelli di Roberto Luti: è una presenza molto interessante nel territorio nazionale e anche internazionale, una certezza anzi; ha una capacita di suonare la chitarra come se fosse un nativo americano e questo non è scontato. Lo si vede anche solo da come imbraccia la chitarra, dal modo in cui la tocca; non mi riferisco alla mano che pigia sulla tastiera, ma a quella che tocca le sei corde. Proprio rispetto al tocco, c’è molta differenza tra un artista europeo e uno americano. Anche i Cyborgs sono stati un progetto eccezionale sia musicalmente che come impatto scenografico e come formazione: un duo con chitarra e batteria e basta. Ho amato il sound distorto della chitarra suonata con un bottle neck, un cilindretto chiamato anche slide, ottenuto da materiali diversi come vetro, ceramica, acciaio o bronzo. Agli inizi lo si ricavava da colli di bottiglie, da cui deriva il nome e si usa inserendovi un dito della mano che sta sul manico della chitarra e lo si fa scivolare appena appoggiato sulle corde, creando un sound molto particolare. I Cyborgs hanno saputo familiarizzare con sonorità blues e, al contempo, creare una distorsione più classica e tipica del british blues che adoro. Mi ha anche colpito la loro idea di far suonare la gente. Ricordo che il batterista, ad un certo punto, scendendo dal palco, si è portato dietro il rullante e ha fatto suonare le persone del pubblico, lì alla Darsena, fino a farle suonare sulla maschera da saldatore che indossava e che ha conferito loro una sorta di mistero e ha rappresentato anche una provocazione socio-politica. Il pubblico si è sentito partecipe e coinvolto. E poi innumerevoli artisti internazionali mi hanno rapito il cuore in tutti questi anni: uno fra tutti, Eric Gales, forse perché è mancino e richiama un po’ Jimi Handrix, senza esserne una brutta copia, fatto sta che ha un modo interpretativo molto coinvolgente, soprattutto nelle improvvisazioni e ha un sound molto originale in cui la chitarra è protagonista senza mai prevaricare l’armonia musicale. Gales ha una qualità tecnica incredibile ed è sempre in comunicazione con il pubblico: magari si abbandona ad una esibizione tecnica velocissima, poi si ferma, guarda il pubblico ed è come se chiedesse un feedback da parte della gente, come se gli stesse a cuore che le persone si divertano. Non interrompe mai la comunicazione e non lo fa verbalmente, lo fa musicalmente, e questo è molto emozionante, credo che, al di là dell’abilità musicale, sia la sua forza. In questa settimana di festival, in cui ci sono stati concerti bellissimi ed eventi molto interessanti, il concerto del cuore è stato quello di Lebron Johnson. Lo avevo già conosciuto 2 anni fa, proprio a Trasimeno Blues e ho subito pensato che fosse un ottimo artista, anche se percepivo che la sua emotività avesse bisogno di essere meglio incanalata, mentre quest’anno mi ha proprio ribaltato, gestendo il palco alla grande e con gli stessi musicisti, a parte l’organista, sempre bravissimi. Mi ha emozionato anche che abbia raccontato la sua storia, la sua vicenda umana, i suoi paesi di riferimento: la Nigeria e l’Italia. Durante il concerto, oltre alle doti interpretative canore, ha sfoggiato una fisicità consapevole e coinvolgente, con il suo modo di muoversi, di ballare, trascinando le persone, sempre supportato dai musicisti. Il batterista ha aperto a una sezione ritmica incredibile e, per quanto a volte risultasse ai limiti del ritmo stesso e io preferisca sezioni quadrate, ad essere sincero l’ho trovato fantastico. È un batterista che conosco perché fa parte del panorama musicale milanese e ha suonato spesso al Nidaba Theater (uno dei più noti locali di Milano) con altri musicisti che conosco con cui ho suonato anch’io. Senza parlare di Andy Pitt, il chitarrista: mi è piaciuto moltissimo. Percepisco che è lui la mente del gruppo. È stato in grado di mettere decisamente la chitarra al servizio del brano, mai sopra. Questa band suona prevalentemente Black Music, eppure, quando hanno utilizzato un linguaggio tipico blues, il chitarrista spesso aveva volumi bassissimi per poi riprenderli e questo mi ha ricordato il lavoro che fa Buddy Guy. Le tastiere e l’organo di Filippo Romano sono stati sopraffini. Un bellissimo concerto davvero. Mi è piaciuto molto anche il cortometraggio “La ballata del Trasimeno”, proiettato l’anno scorso alla Rocca. Ho amato questa storia parallela del protagonista del corto, costretto a scappare e a rifugiarsi al Trasimeno dove incontra il Blues. Forse perché, in qualche modo, siamo tutti in fuga da qualcosa. A pensarci bene, credo che Trasimeno Blues rappresenti per me anche un momento di fuga. Il corto ci ha condotti nelle bellezze di questo territorio così incantevole in cui la musica blues ha assunto negli anni un uolo identificativo e di richiamo. Le notti del festival sono lunghe e i risvegli lenti in attesa che la programmazione giornaliera del festival si rimetta in moto. Nei luoghi pomeriggi caldi, in attesa che comincino gli eventi del Festival, con il lago davanti a me, a volte placido e caldo, a volte leggermente increspato e pieno di windsurf, amo intrattenermi pigramente, fuori dal tempo, con la chitarra in mano, a scrivere le mie songs che spesso finiscono nei miei dischi. E dentro di me lo sento che non avrei la stessa forza creativa ed espressiva senza tutto questo. Alla fine, è anche la mia chitarra che me lo chiede, di portarla a Trasimeno Blues e io non la tradirei mai.
(NGguitarboy)