La voce di Kora Hero, nome d’arte di Alieu Saho (musicista in cartellone a Trasimeno Blues come concerto di apertura del Festival, alla Rocca di Castiglion del Lago, alle h. 21), è profonda, polifonica e avvolgente come la kora, lo strumento che è diventato la sua missione. Si tratta di una sorta di arpa-liuto, con 21 corde, un profilo simile al liuto anche se viene accomunato alle arpe per la posizione delle corde e per la tecnica che richiede nel suonarla. Le corde della kora vibrano offrendo articolate sonorità che sembra arrivino dalle viscere della terra, per connettersi con le stelle, attraversando i corpi, le anime, i cuori dell’umanità, come se fossero una centralina energetica di connessione tra poli estremi di un’unica variegata dimensione. Come Alieu, la kora è originaria del Gambia, diffusa presso i popoli Mandinka ed è lo strumento dei griot dell’Africa occidentale. La si trova prevalentemente in Mali, Guinea, Senegal e Gambia, ovviamente. A seconda delle regioni, può avere anche 22 corde ed è un elemento identitario di questo artista coraggioso. Durante l’intervista, Kora Hero parla in italiano, lentamente, per darmi la possibilità di capirlo meglio. E si prende il tempo. È solido, centrato, a suo agio ed estremamente accogliente. Mentre racconta, si crea in me quel silenzio interiore necessario quando si parla con qualcuno che senti ti possa insegnare qualcosa, perché sai che la sua storia saprà liberare la tua mente e saprà metterti in ascolto, a cuore sfessurato, per non interferire. Nelle pause, risuona tutta la semplicità a cui Alieu ti riporta e, davvero, il resto sparisce, soprattutto le elucubrazioni mentali, i pensieri complicati, le espressioni forzatamente intelligenti, le paure rispetto all’esistenza. In fondo, “la vita è semplice, la vita succede, ecco tutto”. Alieu mi insegna che se hai un’idea, un sogno, semplicemente, attualo: “just do it”; in effetti, è sufficiente seguirlo per realizzarlo, senza pensarci troppo su. E Kora Hero lo sa. Ventisei anni, da giovanissimo, a soli sedici anni, decide di lasciare Sere Kunda (la più grande città del Gambia, situata a sud-ovest della capitale Banjul), dove è nato e cresciuto, per portare il suono di questo magico strumento africano, in tutto il mondo, per condividere le emozioni che prova nel suonarlo e le sue potenzialità tecniche: sente di avere una ricchezza che non può restare imprigionata in una sola area geografica, che deve essere accessibile a tutti. Riceve una sorta di investitura, una chiamata spirituale. È Trasimeno Blues a dargli la sua prima opportunità in questa direzione, tre anni fa: era appena arrivato in Italia, dopo aver affrontato un viaggio infinito, attraversando il Senegal, il Mali, il Burkina Faso, il Niger e su fino alla Libia; e poi il Mediterraneo, su un barcone, con il solo sogno di portare la kora dappertutto, al di fuori dei confini africani. Kora Hero è una sorta di ambasciatore della kora, non solo perché la suona da quando aveva cinque anni, soprattutto perché rappresenta musicalmente quello che vuole comunicare, in connessione con la natura ancestrale dei cantastorie della tradizione orale, che nella nostra cultura fa capo ai poemi omerici.
D: Che rapporto c’è tra lo strumento kora e il tipo di musica, di melodia, di ritmo che suoni?
R: Per me la kora è piacere. È tutto. È la felicità. Quando sono in un momento difficile, è la melodia della kora che mi fa stare bene. Io guardo la kora, come guardo il mare, che è infinito. Anche le corde della kora sono infinite. È uno strumento in cui può entrare tutta la musica, del mondo. Non solo la nostra musica tradizionale. Con la kora, non suono solo jazz, non suono solo blues. Con la kora sento la chitarra, sento il basso, sento le tastiere, sento tutti gli strumenti. La kora è come il mare.
Quel mare che Kora Hero ha attraversato, senza pensarci troppo, per venire in Italia e di cui parla come se non fosse stata dura, come se quel sogno lo tenesse sospeso e immune da ogni disagio, pericolo, dolore, nostalgia. Quando lo contatto, sono in una schizofrenia emotiva per eventi personali accaduti in questi giorni che mi hanno fatto oscillare tra momenti di profonda gioia e di estremo dolore. Sono un po’ destabilizzata quando gli mando un vocale whatsapp, senza ricordare che è del Gambia, paese in cui, oltre alle lingue locali (Mandinka, Fula, Jola, Serahule, Wolof, Mansuanka), si parla inglese. Invece, per comunicare con lui, uso il francese, la lingua parlata prevalentemente tra i miei amici africani, chiedendogli la disponibilità per un’intervista. Probabilmente, del mio messaggio, ha capito solo tre parole: il mio nome, Trasimeno Blues e blogger. Mi risponde con un vocale posato e ospitale in cui, in italiano, mi spiega che parla inglese e che non sa niente di francese. Quando realizzo la gaffe, non so se ridere o sotterrarmi. Mi limito a scusarmi e mi complimento per il suo italiano. Gli spiego come lavoro e ci accordiamo per l’intervista.
D: Quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua professione?
R: Sono nato proprio per essere musicista. Da quando avevo 5 anni, con gli amici mi sono aperto a tante esperienze, ad esempio il calcio, ma non ero bravo; così a scuola, sono entrato in contatto con tante opportunità, ma non mi “prendevano”, non mi appassionavano. Ad un certo punto ho capito che sono bravo a suonare la kora, imparando da solo, senza che qualcuno mi insegnasse a livello accademico. Quando ascolto brani di altri musicisti che suonano la kora, compreso mio padre, provo a rifarli. Nessuno mi ha imposto di suonare la kora, se non altro perché mio padre la suona, è un korista. Per me è una passione che sento di aver avuto dentro da sempre. Il mio amore per la kora è nato dentro di me come se fosse qualcosa di spirituale, come se dovesse essere la mia vita. E lo è. Il mio primo maestro è stato mio padre che mi ha introdotto alla kora quando avevo 4 anni. Ricordo che la mattina, a casa, iniziava a suonare e continuava fino a sera. Succedeva che, ad un certo punto, ti chiamava e ti insegnava qualcosa, una specie di lezione in cui impari a suonare solo come accompagnamento, come fa il basso. Poi ti suggeriva di studiare ad orecchio e di non essere musicalmente dipendente da lui. Ti invitava a prendere un cd, ad andare nella tua stanza, ascoltarlo e poi provare a suonarlo. È così che ho imparato a suonare la kora. Dal punto di vista tecnico, ascolto i grandi maestri che ci sono stati, come Toumani Diabaté e Ballaké Sissoko, due grandi musicisti maliani e suonatori di kora, come anche i grandi koristi del Gambia, che sono professionisti di altissimo livello, ma anche Jimi Handrix e tantissimi altri musicisti e provo a fare qualcosa.
D: Cosa c’è di te nel nome Kora Hero che hai scelto come pseudonimo?
R: Grazie per questa domanda. L’idea non mi è venuta da lontano. A casa mia avevamo un’orchestra di kora, composta da più di 50 elementi, tutti in Gambia. Ogni settimana suonavano tutti insieme, venivano a fare le prove a casa mia perché mio padre era il presidente di quest’orchestra. Tutti lo chiamavano Kora Hero. Devo a mio padre se suono la kora. Mi è sempre piaciuto toccare la sua kora, suonarla. E per questa mia attitudine, tutti i miei amici mi hanno iniziato a chiamare con questo nome, col nome con cui avevano chiamato mio padre. Da noi si dice che il figlio del leone si crede un leone, il figlio del cane si crede un cane e quindi, il figlio di Kora Hero si crede Kora Hero. I miei amici mi hanno iniziato a chiamare così, perché questo nome era quello di mio padre, come una sorta di segno di riconoscimento e di continuità. Amo questo nome. Quando le persone mi chiamano così, mi sento felice dentro, provo una gioia profonda, perché con la kora ho un rapporto speciale, intimo: dal primo momento in cui ho messo la kora sulle mie ginocchia, è stato amore a prima vista. Quando la suono, ho la sensazione di essere con la mia ragazza, è uno strumento che sento, con cui ho un legame intenso di cui non posso fare a meno. Ed è sempre un’emozione sentirmi chiamare Kora Hero.
È la seconda volta che suona a Trasimeno Blues. La prima volta su una barca di pescatori nella suggestiva cornice del lago. Mi piace pensare che questo suo primo concerto sia stato una sorta di pacificazione compensatrice rispetto al viaggio difficile e insidioso che ha affrontato per venire in Europa in cui è stato sostenuto dal mare e dal lago. Immaginando questi due scenari, mi interrogo sul valore simbolico dell’acqua per un musicista e sulla differenza tra le acque del mare incerte e le acque del lago placide.
D: Quali tracce hanno lasciato in te le acque del mare Mediterraneo che hai conosciuto in un viaggio clandestino e le acque del lago Trasimeno.
R: I am a mission man. I’m here, in this world, for a mission. Durante il viaggio in mare dalla Libia all’Italia, e anche durante il lungo e faticoso tratto sulla terraferma, dal Gambia alla Libia, non ho pensato neanche per un attimo ai rischi che potevo correre, ero posseduto dal mio desiderio di portare la kora nel suo “Nuovo Mondo”. Ho fatto questo viaggio senza nessuna paura, con forza ed energia positiva, per questo è stata un’esperienza bellissima. Sentivo che non mi bastava essere musicista in Gambia, che non era quello il mio sogno. Sentivo di voler far capire alle genti di ogni parte del mondo cosa sia la kora e condividere con loro la bellezza di questo strumento così vivo. Il mare è stata la strada che ho percorso e il lago l’acqua che mi ha accolto come artista. L’acqua è vita, purificazione, rigenerazione. Le acque del mare hanno una natura spirituale che parla di anima; il mare è pieno di anima. Sono stato felice di averlo attraversato. Grazie a Dio, quando sono arrivato in Italia la mia vita è cambiata, il mio sogno si è realizzato ed è iniziato proprio sulle acque di un lago magico, pieno di musica. Ora viaggio in tutta Europa e suono la kora con una pienezza nuova. Questo era il mio sogno in Gambia e ora lo sto vivendo. Sono pieno di gratitudine per la kora e per le persone che mi hanno aiutato e mi hanno dato la possibilità di realizzare il mio sogno. Grazie a Gianluca Di Maggio che mi dà la possibilità di suonare ancora a Trasimeno Blues, un palco sempre emozionante per me. Ho affrontato il mio viaggio, dall’Africa all’Europa, con il 100% di fiducia che avrei portato la mia kora nel mondo. La kora ha salvato la mia vita, mi protegge dagli spiriti maligni, la ringrazio per questo.
La Kora ha origini antichissime, simbolo di una cultura e di una tradizione che si perde nella notte dei tempi di un’Africa sconosciuta e misteriosa. Alieu è il mezzo che le permette di “colonizzare” l’Europa, ribaltando, simbolicamente, il paradigma occidentale attivato con la scoperta dell’America nel 1492 che ha dato il via, nel corso dei secoli, a un dominio drammatico sul Nuovo Mondo (oltre che sull’Africa, Asia e Oceania), da parte del Vecchio Mondo. Il coraggioso sogno di questo giovane musicista mi porta a personificare uno strumento simbolo e a vederlo da una prospettiva singolare: per la sua kora è l’Africa il Vecchio Mondo ed è l’Europa il Nuovo Mondo che ha vissuto senza kora, l’area geografica da “colonizzare”, non per separare, ma per unire, non per depredare ma per arricchire, non per opprimere e schiavizzare, ma per liberare e dare speranza. Una sorta di “colonizzazione” pacifica volta a colmare un vuoto e non a crearlo. Comincio a credere che questo ragazzo, pieno di sole e di musica, sia un predestinato.
D: Pensi che diventare musicista sia stata una fortuna o l’unica cosa che avresti potuto essere?
R: Per me la musica è tutto, la kora è la mia vita, il mio amore, il mio tutto. Sto benissimo con la mia kora. È come essere in paradiso. Ogni musicista è come un medico: suoni e vedi che un milione di persone che hanno problemi quotidiani, in famiglia, che hanno problemi di relazioni e che, con la tua musica, dimenticano i loro problemi per il tempo di un concerto o di un disco, che trovano nella musica la forza per affrontarli, è qualcosa di magico. Questa è l’emozione più grande che si può provare ad essere musicisti. Con la tua musica aiuti la gente a dimenticare i loro problemi e a vivere un momento di felicità. La mia anima me lo chiede, non avrei potuto essere nient’altro che un suonatore di kora.
D: Cosa porterai a Trasimeno Blues?
R: Quest’anno voglio portare il blues di kora in un concerto kora-live. Ci sarà la kora, ovviamente e suonerò con altri tre musicisti bravissimi: Giulio Lattanzi che è un chitarrista romano, Dario Gabriele, sempre romano, che suona l’armonica, e Muhammad Ndiaye, senegalese che vive anche lui a Roma e suona il djembe. Offriremo un concerto pieno di sonorità totalmente blues. E non vedo l’ora. È sempre un piacere suonare a Trasimeno Blues. Grazie Maria per questa intervista e grazie a Trasimeno Blues Festival per accogliermi sempre.
Prima di salutarci, condivido con Kora Hero la sensazione che nella sua musica troveremo le sue radici, rinnovate nella gioia prorompete che abita chi ha raggiunto un traguardo sognato e che custodisce nelle sue pieghe, tutto il tragitto percorso, a cominciare dalla scelta di lasciare il certo per l’incerto, un passaggio obbligato che ogni artista deve attraversare, una sorta di battesimo del fuoco che ti porta inevitabilmente, se decidi di campare con la musica, ad assumerti il rischio e la responsabilità della tua scelta. Ho sempre pensato che un’artista, prima o poi, incontri nel suo percorso questo guado e abbia bisogno di coraggio per attraversarlo. E Kora Hero, di coraggio ne ha da vendere e questo coraggio, senza ostentazione alcuna, nella semplicità che lo caratterizza come persona e come artista, si respira tra le note della sua kora, avvolgenti e allegre come il suo sorriso.
(M.P.)