L’incontro con la musica lo ha preso a tradimento, mentre cercava lavoro a Bamako, la capitale del Mali, in cui si era trasferito da Dabi, il piccolo villaggio ubicato nella regione di Timbuktu dove è nato e cresciuto, facendogli invertire direzione, o forse, facendogliela ritrovare. Inizia così, nella sua evoluzione artistica, un punto di non ritorno che lo ha portato a essere protagonista di un’avventura musicale in crescita, imponendolo in poco tempo sia in Mali che all’estero, come un artista molto amato non solo in Africa; la sua musica, infatti, ha travalicato i confini nazionali e continentali, raggiungendo grande successo anche a livello internazionale. Quella musica che aveva respirato da bambino (in particolare grazie a sua madre, che ha cantato anche con Alì Farka Touré, allora esordiente), lo ha chiamato e Samba Touré ha risposto, rendendosi protagonista di uno stile musicale ammaliante che porta in dimensioni altre e restituisce un senso del tempo a misura di respiro. L’Africa, in molti dei suoi villaggi, resta la custode del valore del tempo, nonostante il modello occidentale cerchi di attirarla in quella corsa folle per cui non si ha più tempo. L’Africa, con i suoi ritmi lenti, riesce ancora a proteggere quell’appuntamento con il tempo scandito dalla tradizione condivisa e collettiva. La musica si fonda sul tempo, ne è la casa: non ammette anticipi o ritardi, è nel tempo che emerge, si sviluppa, vive, si compie. Nella musica la pulsazione è un valore grazie al quale ogni creazione è possibile, il riferimento che permette ogni possibilità. Mi chiedo come sarebbe la società se attribuisse al tempo il valore che ha nella musica, come sarebbe la vita se le persone fossero coscienti del valore del tempo.
D: Che rapporto hai con il tempo?
R: Quando sono a casa a Bamako, il tempo è molto regolare, molto routinario. Il tempo è diviso tra gli obblighi familiari, come portare i bambini a scuola, andare a lavorare nel campo che possiedo in città, visitare la famiglia e così via. Ma quando sono impegnato in un’intensa attività musicale, come la preparazione di un tour o il lavoro nello studio di registrazione, è diverso, e allora devo adattarmi agli orari di tutti, di giorno in giorno e, senza guardare troppo al tempo, niente conta più della musica. In tour, con le differenze di orario tra i vari Paesi, è tutta un’altra cosa. E lì mi affido al mio manager per tutto ciò che riguarda gli impegni quotidiani. Quindi, alla fine, tutto dipende dalla situazione, è molto variabile. Il tempo è elastico!
D: Come descriveresti il tempo nella tua produzione artistica e musicale?
R: Tutto dipende da ciò di cui si parla. C’è il tempo che si deve impiegare per comporre, ricercare, inventare. Poi c’è il tempo che si passa in studio, e questo è un altro discorso, perché il tempo, in questo contesto, è prezioso e costoso! Non ci si può permettere di perdere tempo in questi momenti. Poi, naturalmente, c’è il tempo come nozione ritmica, e qui tutto dipende dalle composizioni. E poi c’è il tempo trascorso sul palco. Lì, non riesco più a contare. So all’incirca quante canzoni devo suonare, ma dato che spesso faccio durare le canzoni a seconda dell’umore del pubblico, non so a che punto sono: la stessa canzone può durare 4 minuti un giorno e il doppio il giorno dopo. Anche in questo caso mi affido al mio manager per avere un segnale quando tendo a sforare, perché sul palco perdo completamente la cognizione del tempo!
I critici musicali attribuiscono allo stile di Samba Touré un potere ipnotico che, a quanto pare, non lo risparmia. Effettivamente, ascoltando la sua musica, si entra in una sorta di cerchio infinito che potrebbe durare per sempre e che porta in una possibile trance vigile, in cui questa elasticità temporale si sperimenta oltre la coscienza.
D: Ascoltando la maggior parte dei tuoi brani, ho la sensazione che seguano il flusso delle onde del mare, tornano sempre, tutte uguali, eppure tutte diverse. Secondo te, è possibile che una dimensione ipnotica possa agire sulla coscienza?
R: Tutta la musica può avere un potere ipnotico. Questa dimensione può naturalmente derivare dalla musica stessa e, rispetto alla mia musica, più che dalle onde, spesso mi viene detto che evoca il ritmo dei passi dei dromedari nel deserto! La mia musica si basa spesso su un motivo semplice e ripetitivo, che crea questo effetto ipnotico. Ma questo potere può anche derivare dall’ascoltatore stesso, dalla sua predisposizione all’ascolto, dal suo modo di apprezzare la musica, dai suoi sentimenti e dalla sua esperienza personale. In questo caso, non sono responsabile al 100% di ciò che accade nella mente dell’ascoltatore. Sicuramente ha un effetto sulla coscienza dell’ascoltatore, ma è necessariamente una sensazione molto personale, unica per ogni individuo.
Nelle sue scelte musicali, l’incontro con Alì Farka Touré, chitarrista indimenticabile e rappresentante della grande tradizione maliana che ha avuto il merito di esportare il desert blues nel panorama musicale internazionale, è stato fondamentale e, per molti, Samba Touré è considerato il suo erede musicale.
D: Come descrivi la relazione con Ali Farka Touré?
R: La mia relazione con Ali Farka Touré non è nata per scelta. È stata una conseguenza naturale del contesto in cui ho vissuto. È stata ovvia. Quando ero molto giovane, mia madre, che in gioventù era una cantante, ha cantato con lui quando era ancora un artista emergente, ai suoi esordi. Ho avuto la grande opportunità di seguirlo nella sua evoluzione. È diventato un modello, non solo per me. È stato un maestro per tutti i musicisti del nord del Mali. È lui che ha fatto conoscere tutto il nostro repertorio tradizionale in tutto il mondo. Spesso la gente mi chiede perché canto così tante canzoni di Farka nei miei concerti. Ma la verità è che non si tratta di sue composizioni, bensì di temi tradizionali che lui per primo ha esportato a livello internazionale. Queste canzoni appartengono a tutti. All’inizio degli anni ’80 cantavo in un gruppo multietnico e suonavamo musica ispirata allo Zaire, che all’epoca era molto di moda in Africa occidentale. In quel periodo ho incontrato Ali Farka Touré, che mi ha dato una chitarra e mi ha consigliato di concentrarmi sulle mie radici, le nostre radici Songoy. Seguii il suo consiglio e mi impegnai a fondo per imparare la chitarra da solo. Poi mi ha portato in tournée internazionali alla fine degli anni ’90. E poi ha prodotto il mio primo album. Gli sarò eternamente grato per i suoi consigli, il suo aiuto, la sua gentilezza, la sua saggezza e per tutto quello che mi ha dato.
D: Che rapporto c’è tra il blues delle origini e il desert blues?
R: La prima volta che Ali Farka ha sentito Jon Lee Hooker, ha pensato che si trattasse di un musicista africano. In effetti, se si confrontano due canzoni, “Amandrai” di Farka e “Bad like Jesse James” di Hooker, sono quasi la stessa cosa! Il blues è nato con gli schiavi arrivati dall’Africa ed è vero che si è sviluppato in America, ma le sue radici sono autenticamente africane, in particolare dell’Africa occidentale. Quindi è naturale. Direi che gli americani hanno sviluppato dei bei rami, ma siamo noi ad avere le radici, lungo tutto il fiume Niger. E non è raro che i giovani bluesmen americani vengano in Mali, per tornare alle loro radici e trarne ispirazione e autenticità.
La musica di solito accende e ispira, eppure ha un ruolo fondamentale anche nel colmare i vuoti e accogliere emozioni intime agendo un ruolo consolatorio o catartico. Samba Touré non ha mai conosciuto suo padre, morto poco prima della sua nascita ed è stato cresciuto dalla madre e da coloro che erano parte della sua rete affettiva, incarnando l’antico detto africano che, per crescere un bambino ci vuole l’intero villaggio.
D: Penso al vuoto che ha lasciato in te tuo padre che non hai mai conosciuto. Che peso ha questo nella tua produzione artistica?
R: Non so proprio come rispondere a questa domanda. Nelle nostre strutture familiari, uno zio, un fratello maggiore o qualcun altro può benissimo assumere il ruolo paterno. Se è vero che avrei voluto conoscere mio padre, non ne ho sentito la mancanza, perché sono stato circondato ed educato da mia madre e da persone che mi hanno dato tutto l’affetto necessario e mi hanno insegnato buoni valori. E se l’assenza di un padre ha giocato un ruolo nella mia musica, è certamente piuttosto inconsapevole.
Le parole di Samba Touré mi fanno riflettere su quanto un gruppo sociale affiatato possa compensare grandi mancanze o anche traumi personali e aiutare a trovare la propria strada, oltre a prendere consapevolezza di non aver formulato correttamente la domanda: in effetti non si può percepire il vuoto lasciato da chi non lo ha mai occupato, se non nell’immaginario personale, anche se credo che una dimensione emozionante di un artista stia proprio nella sua parte inconscia dove risiedono parti che agiscono senza necessariamente derivare da una scelta lucida e cosciente.
Samba Toureé suonerà alla Rocca di Castiglion del Lago domenica 28 luglio alle ore 21, con musicisti straordinari: Djimé Sissoko (ngoni e tamani) e Souleymane Kane (calabash, djembe).
D: Cosa porterai a Trasimeno Blues?
R: Negli ultimi giorni ho notato che non avete bisogno del sole o del caldo! Quindi vi porto la mia chitarra, i miei musicisti e il nostro buon umore, nella speranza di riuscire, nonostante la barriera linguistica, a comunicare con il pubblico attraverso la cultura e la musica. E anche per far conoscere il nostro patrimonio musicale e la nostra cultura, che rimane la nostra più grande ricchezza.
Il concerto di Samba Touré è molto atteso. Compone sonorità armoniose del blues del fiume Niger, con temi tradizionali Songhaî e influenze occidentali che si fondono in una musicalità che cattura, mentre i suoi testi, invitano a rendersi responsabili dei propri valori. I suoi concerti sono un’esperienza intima in cui identificarsi in un viaggio strettamente personale in cui le sue melodie fanno da collante tra le persone attivando un senso collettivo di rivincita.
(M.P.)