SOUND IMPETUOSO SOTTO MENTITE SPOGLIE, QUELLO DEI “THE TOTAL REVERENDS” A TRASIMENO BLUES 2024

SOUND IMPETUOSO SOTTO MENTITE SPOGLIE, QUELLO DEI “THE TOTAL REVERENDS” A TRASIMENO BLUES 2024

Il 31 luglio i “The Total Reverends” cavalcano, a galoppo sfrenato, la scena musicale di Trasimeno Blues alla Darsena. Un affascinante locale che, oltre all’area concerti con le sue atmosfere metropolitane, buie e fumose, ha una parte che si espande fino alle rive del lago, con la sua ambientazione romantica, al di fuori del tempo e dello spazio, da cui godere di un panorama idilliaco diluito nel quieto lago affrescato dal riflesso tremolante di una luna inafferrabile. Comodi divani, drappi e tappeti, accolgono i notturni moti del cuore restituendo un senso di pace. Il Duo “ecclesiastico” della band, senza mezzi termini, già con le prime note, irrompe bruscamente in questo incanto, con il loro blues infuocato di rock’n roll, catapultando chiunque sia assorto in stati d’animo baudelairiani, in un vortice energetico: una doccia gelata di note ti piomba addosso e, mentre ti traumatizza, ti rimette al mondo, rigenerato e vitale. Sul palco, due preti, con occhiali da sole, impeccabili nei loro abiti talari, serissimi a tal punto da sembrare veri, suscitando l’ilarità del pubblico, travolgono con sonorità incalzanti e accelerate, che un eminente livello tecnico produce. Il contrasto tra il loro blues agguerrito e la loro pacifica compostezza posturale è la prima convenzione che si sgretola. In effetti, la messa in scena va oltre la banale dissacrazione o la denuncia di contraddizioni che spesso accompagnano l’umanità, soprattutto in ambiti istituzionali; è piuttosto un invito a uscire dagli schemi consuetudinari e a giocare con chiavi di lettura altre, con ironia, mischiando le carte. Del resto, lo svelano subito che “sotto i panni da reverends c’è altro”. Al di là dei doppi sensi, sono due super professionisti che si incontrano in questo progetto dando sfogo ad una creatività scenica che diventa il contesto altro per esprimersi musicalmente in nuove esplorazioni e vecchie formule con prospettive rinnovate. Piero Monterisi, alcune settimane prima della loro partecipazione al Festival, era davanti a 50.000 persone al Circo Massimo a Roma come batterista di Gazzè, Silvestri e Fabi, mentre Francesco Forni, lo stesso giorno, presentava al Teatro Filangieri di Napoli un disco di cui ha curato la direzione artistica. Forni è un chitarrista strepitoso, compositore, cantautore e produttore, con una lunga carriera alle spalle, oltre ad essere anche la voce del Duo, e Monterisi è un batterista dotato di un’incredibile solidità ritmica, oltre ad avere altrettanta longevità artistica. Entrambi prestano il loro talento musicale ai loro personaggi. Tantissima esperienza entrambi, si incontrano sul palco di Trasimeno Blues e si giocano l’hic et nunc di brani consolidati (sia originali che cover) in questo nuovo assetto che l’intesa perfetta tra loro fa decollare in rivoli musicalmente esplosivi. Il prete chitarrista è anche il narratore di una performance teatrale che ricostruisce la storia dei Reverends: uno, il taciturno Mon. Terisi, italiano, “che potrebbe vivere in Vaticano”, specifica Forni in un’intervista per il blog del Festival, e l’altro, dal nome altisonante, Padre Terno, è dell’Oregon, in soggiorno (sempre in Vaticano), parla un italiano con spiccato accento americano, con tanto di errori di fonetica e di grammatica. Due personaggi che nascono per gioco in occasione di un appuntamento musicale previsto a Roma l’8 dicembre che tutti chiamano il Concerto della Madonna: in un momento particolarmente umoristico, è nata l’idea di salire sul palco vestiti da preti che esordiscono con canti gregoriani e non resistono alla tentazione di sbarazzarsi di modalità monodiche tipiche dei canoni musicali che accompagnano un’ascesi spirituale e, pur mantenendo una totale compostezza nel corpo e non rinnegando la loro “religiosità”, si lasciano sopraffare dall’interpretazione musicale che si trasforma in un blues/rock irresistibile, consegnando ai loro strumenti la parte strettamente umana del vivere; come se, essi stessi, scoprissero ed esplorassero nuove forme di preghiera: in fondo, pregare è esprimersi, con l’idea che Dio ascolti, a prescindere da modalità specifiche o strutturate.

“Organizzammo questa congrega di preti in occasione del concerto della Madonna che è diventato il concerto dei Reverends. In questa occasione ho incontrato Piero e abbiamo consolidato un Trio con al basso Gabriele Lazzaroni. Abbiamo sperimentato poi il quartetto, il quintetto e fatto concerti con molti musicisti e con tanti ospiti, tutti “ecclesiasti”. Da poco abbiamo sperimentato il duo che ci è piaciuto tantissimo perché è più flessibile, accentua gli aspetti ironici, offre più spazio per le due personalità e lo spettacolo è compatto, anche se allargabile”, racconta Forni che aveva già suonato a Trasimeno Blues in un duo con Ilaria Graziano con cui ha girato il mondo. Questa volta, come Reverends, si concedono al pubblico di Trasimeno Blues in anticipo sul loro disco “Spillover”, in uscita per Natale. “Il Festival ci ha dato fiducia” confessa Forni e, in effetti, non hanno deluso. Una botta di energia che deriva anche dalla commistione tra Puglia e Campania, passando da Roma Caput Mundi: Piero è originario di Cerignola, in provincia di Foggia e Francesco è napoletano doc e cittadino del mondo. Si percepisce che, prima di tutto, si divertono. Si presentano come suonatori e si scoprono musicisti incredibili: sorprendono per la qualità musicale, lasciando sullo sfondo la dimensione demenziale dei reverends e stravolgendo completamente i brani per l’occasione, in costante esplorazione creativa, per cui il pubblico si sente strattonato da una parte dalla stravaganza della messa in scena ascetica e dall’altra “da una musica tutt’altro che ironica”. Infatti, la chitarra di Forni stride, urla, energizza e impone il suo carattere in opposizione alla dimensione pacifica che l’immaginario collettivo abbina al mondo ecclesiale. La batteria di Monterisi, supera il tempo in corsa, con precisione infallibile. La loro è un’ironica copertura, per due “ricercati” la cui vera identità è la loro musica, suonata a modo loro, con travolgenti sonorità stridenti, incalzanti e, a tratti, venate di romanticismo contemporaneo, essenziale, scarno e, per questo, potentissimo, come nella canzone “Love me”, una sorta di invito imperativo all’amore o nel brano “As If We Were Lovers”, un omaggio a Orfeo ed Euridice in chiave contemporanea. Forni introduce la canzone sempre con l’accento straniero del suo personaggio, modernizzando e stravolgendo la narrazione mitologica: “Questa canzone parla di due persone che si incontrano e si raccontano tante cose intime delle loro vite: lei parla dei suoi figli, lui del suo cane. Tutti quanti li guardano come se fossero innamorati. Poi escono fuori dal bar dove hanno bevuto qualcosa, incontrano uno che scrive poesie e, quando è il momento di separarsi, essendo di nazionalità diverse, lei sussurra frasi romantiche all’orecchio di lui che fa finta di capire ma in realtà non sta capendo niente. L’unica cosa su cui si sono capiti è quella di non girarsi dopo essersi salutati, perché se si girassero, lei potrebbe essere risucchiata negli Inferi e si ritroverebbero separati per sempre. E, invece, si sono girati a ogni passo, per verificare che ognuno andasse per la sua strada, guardandosi come due innamorati”. Tante simbologie celate che prendono respiro in un epilogo a lieto fine che non ha niente a che vedere con il classico “e vissero felici e contenti”. Il sound del brano è tinto di un romanticismo brusco, consegnando al pubblico il lato scabro dell’amore, per cui, mentre ci si perde nella dimensione “pink” dell’amore, la ruvidezza delle note ci àncora a un senso di realtà, consegnando in contemporanea le due facce opposte di questo indispensabile e controverso sentimento che tutti attraversano e tutti accumuna.

Durante il concerto, nel dialogo con il pubblico, Padre Terno utilizza elementi contingenti, come la temperatura rovente della serata, su cui ironizza chiedendo di spegnere il riscaldamento, o rispetto ai moscerini attirati dalle luci del palco, manifestando la preoccupazione che possano scordare le corde della chitarra, nonostante siano “carini e simpatici”.

Quando nel finale, dopo aver ringraziato Trasimeno Blues, Marco della Darsena, i tecnici e, ovviamente, il pubblico, con l’ironia che li contraddistingue, il Duo viene “convinto”, grazie a due negroni offerti da un ragazzo del pubblico, a non concludere il concerto: ci deliziano con l’esecuzione di “Voodoo Child”, uno dei più grandi successi del leggendario Jimi Hendrix che ha rivoluzionato il modo di definire il suono della chitarra elettrica. Brano carico di energia e potenza, nato dall’evoluzione di una jam session di quindici minuti, ispirata da Rollin’ Stone di Muddy Waters. “Una visita virtuale degli stili blues, a partire da quello del Delta e poi viaggiando attraverso gli esperimenti elettrici di Muddy Waters a Chicago e John Lee Hooker a Detroit per arrivare al sofisticato swing di BB King”, secondo il critico musicale Charles Shaar Murray. Il testo è carico di metafore e immagini simboliche. Dal Delta del Mississippi, Hendrix ci porta “oltre la periferia dell’infinito” e i Reverends inseguono questo “oltre”. Introducono il brano, stravolgendone il contenuto, raccontando la storia di un certo padre Oreste che, dopo morto, viene accolto in Paradiso dove c’erano tutte le più fantastiche chitarre che noi umani non possiamo neanche immaginare e gli viene chiesto di scegliere una qualunque chitarra e di suonare per se stesso e anche per il Paradiso che attendeva di deliziarsi della sua abilità musicale. E padre Oreste, risponde che sarebbe molto bello ma non può farlo perché è un “voodoo child”. Durante l’intervista, chiediamo a Francesco Forni se, alla fine, il protagonista della storia la prende la più bella delle chitarre e ci risponde con un sorriso: “No, perché è un voodoo chile (come lo pronunciava Hendrix) e non può stare in Paradiso. Lo hanno fatto passare perché volevano sentirlo suonare ma lui non accetta”. Interessante l’ipotesi che, in qualche modo, il mondo celeste del voodoo chile, sia molto più simile all’Olimpo della mitologia greca che al Paradiso cristiano, in cui gli dei “invidiano” un talento del mondo terreno e in cui un voodoo chile, come un eroe mitologico, non scenda a compromessi con nessuno, neanche con il “principale dei reverends”, molto più simile a Zeus che a Dio. A quel Paradiso che rifugge l’inutile, apparente, formale spiritualità, descritto nel Vangelo da Gesù Cristo, dove entrano anche “pubblicani e prostitute”, lasciando fuori gli ipocriti, sicuramente, il Voodoo Chile non avrebbe rinunciato. Nella sua storia, per come i Reverends la raccontano, gli resta la fierezza di non essersi piegato a compromessi.

La musica dei Reverends, piena di maestria musicale davvero forte, con la provocatoria ambientazione teatrale, mette insieme il cliché ecclesiastico con elementi opposti uscendo dalla logica di ottenere consensi con un’ironia spiccia per compensare una fragilità artistica. In questo gioco di opposti, è la musica che vince non permettendo a nulla di relegarla in un secondo piano, grazie a “una profonda onestà intellettuale per cui dove si deve incalzare per ribadire un concetto o per protestare su qualche cosa che ti sta scomodo oppure per raccontare una particolare storia d’amore, lo si fa con la stessa intensità” spiega Forni. E chissà che in futuro, se mai si concludesse la parabola esplorativa dei Reverends, metteranno in campo ulteriori esplorazioni, a partire dalle classi sociali, anacronistiche ormai, per arrivare ad altri cliché quali quello degli insegnanti, degli operai, dei liberi professionisti, degli agricoltori, dei finanzieri, portaborse, camerieri, mostrandone i paradossi che la musica ricompone. Questi due preti che restano preti e, senza parere, forse senza neanche accorgersene, si abbandonano a nuove forme espressive, come il blues nel suo sound più estremo, comunicano qualcosa di interessante. Una cosa è certa, dai Total Reverends possiamo aspettarci di tutto, sia come idee creative che come espressione musicale. In effetti, dopo il loro concerto, l’eco delle loro note si è aggiunto ai raggi lunari, ravvivando il lago e i cuori di lucentezza friccicante, lasciando nell’aria intorno tanta voglia di ascoltarli ancora e, naturalmente, tanta voglia di blues. 

(Maria L.T. Pasquarella, Elisabetta Tinarelli)

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