Sotto lo stesso sole, le stesse stelle e la stessa luna di chi è morto regalandoci il blues, sabato 27 luglio, il centro di Castiglione del Lago ha riaperto le porte alla ventottesima edizione di “Trasimeno Blues”, un festival che avvicina ogni appassionato di questo genere musicale in un contesto sfaccettato, sospeso dalla realtà, quella realtà frenetica e logorante di tutti i giorni. Ho risposto all’invito del direttore del Festival, Gianluca Di Maggio e del suo staff, per far parte di un gruppo di giovani a cui è stata data l’opportunità di vivere il festival anche dietro le quinte, accompagnati in un’esperienza formativa, sia culturale che professionale, unica. Ci è stata assegnata una casa, in cui vivere tutti insieme, noi ragazzi che abbiamo aderito all’iniziativa, coordinati da Maria L.T. Pasquarella, che cura il blog di Trasimeno Blues (Trasimeno Blues Experience) e indirizzati nelle attività da alcuni responsabili. La “nostra” casa è ubicata in centro storico, a due passi dalle diverse aree del festival: il Palazzo della Corgna, di stile manierista, sede delle presentazioni dei libri, piazza Mazzini, la location dei concerti pomeridiani gratuiti, proposti in un doppio set prima e dopo cena, la Rocca per i grandi concerti serali. A questi “luoghi del festival”, come li ha definiti il direttore artistico nel nostro primo incontro, si aggiunge la Darsena, che possiamo raggiungere anche a piedi con alcuni minuti di cammino dal centro storico. Si tratta del locale in cui si svolgono i concerti notturni che iniziano allo scoccare della mezzanotte. Trasimeno Blues 2024 ha come parola d’ordine l’inclusione, soprattutto dei più giovani, difatti quest’anno parte dello staff è composto da noi ragazzi appena maggiorenni, pronti a tenere vivo lo spirito fresco del festival, avvicinandoci un po’ di più al padre di tutti quei generi musicali che ascoltiamo quotidianamente. Le note del popolo, per il popolo ci penetrano nell’animo smuovendo in noi quel senso di libertà e di agitazione cui appunto fa riferimento la celebre frase blues “to have the blue devils” (avere i demoni blue), per un futuro sempre più consapevole e attivo. Al mio arrivo, dopo una calorosa accoglienza, con gli altri ragazzi del gruppo, siamo stati protagonisti autonomi di tutte le operazioni di insediamento nel festival e il giorno dopo, cioè il fatidico 27 luglio, tutto è cominciato.
Nel pomeriggio, il giornalista Roberto Caselli ha presentato il suo libro “La storia della black music”, in una delle sale del palazzo della Corgna. Il sole ci ha accompagnato nel racconto della storia della musica nera, dal blues, nato nelle piantagioni di cotone, usato come via di fuga mentale e come escamotage comunicativo, alla schiavitù della colonizzazione, fino a generi più contemporanei come la trap, che ha perso questa speranza di partecipare alla comunità per il suo valore e non per il denaro, unico strumento per essere rilevanti in essa. Tutto il contrario di quello che sosteneva Booker, direttore della scuola formativa per insegnanti neri e riportato nel libro dall’autore; cito: “ Il successo si misura non tanto dalla posizione che si è raggiunta nella vita, quanto dagli ostacoli che si sono superati”. Dalla sottomissione alla ribellione, dando valore ai veri pionieri di ogni genere musicale, piuttosto che a chi è arrivato sul podio del successo perché vantaggioso per le case discografiche.
Finita la presentazione, in cui il pubblico ha interagito con l’autore, ci siamo spostati in piazza Mazzini, dove abbiamo ascoltato il coinvolgente concerto dei “The Steven Paris Agreement”, un trio appassionato che ha proposto pezzi di blues, di country blues e di folk, passando, dunque, da tracce più malinconiche a tracce più movimentate e speranzose in un contesto semplice come la piazza di un borgo medioevale, tra bambini che si rinfrescano con un gelato, giovani seduti sui gradini della fontana, adulti in ascolto compiaciuto e anziani più riflessivi o nostalgici, avvicinando tutti i partecipanti del concerto gratuito, in un pomeriggio gioioso e di festa multigenerazionale.
Calato il sole, fisicamente siamo andati alla suggestiva Rocca del Leone, fortezza medioevale ancora ben tenuta nella sua integrità. Mentalmente, invece, “Eric Bibb & band” ci ha catapultato in una situazione primitiva e di pace interiore, isolata dalla nostra quotidianità, e ci ha coinvolti in un ascolto rilassato in cui, oltre a goderci la sua musica delicata, abbiamo potuto comprendere i vissuti raccontati nei suoi testi, come ad esempio, con il brano “Needed time”, in cui c’è un richiamo alla spiritualità e una richiesta d’aiuto verso Gesù per i suoi fratelli neri. L’artista e i suoi musicisti ci hanno delicatamente fatto entrare in un contesto doloroso e spinoso, regalando comunque speranza. Le stelle ci hanno accompagnato per tutta la durata del concerto illuminando nelle nostre menti il lungo tragitto che è stato fatto, e che ancora stiamo percorrendo, di integrità morale e di pari diritti.
Le stelle poi ci hanno condotto, sul romantico lungo lago, alla madre luna molto suggestiva che ci ricorda che siamo tutti sotto lo stesso cielo e provenienti dalla stessa terra e abbiamo incontrato gli “I shot a man”, un gruppo blues torinese molto comunicativo, per l’ultimo concerto in programma della prima giornata. Con il loro sound moderno hanno fatto partecipare attivamente tutti, creando un’atmosfera coinvolgente, tra balli liberi e qualche bicchiere di birra fresca, lì alla “Darsena”, incantevole locale, con uno stile curato e un po’ bohémien. Coinvolti in questa situazione di sfogo e accesi nella consapevolezza di essere vivi tra i vivi, ci siamo liberati da tutte quelle catene, più o meno spesse, che dobbiamo legarci ogni mattina. Ci siamo fatti conquistare da uno spirito di speranza e gioia che il popolo nero ci ha da sempre insegnato. Questo sentire prende forma in particolare nella canzone “Fairy train” che ci racconta di questa donna seduta in cucina con una chitarra in mano e con la testa in questo treno “fatato” che la porterebbe in un luogo di pace e libertà. Anche se Roberto Caselli, con il suo libro, ci ha insegnato che i nuovi generi musicali hanno perso la speranza nel futuro, noi, pubblico di Trasimeno Blues, siamo sempre più consapevoli della nostra capacità e della capacità del popolo africano di sconfiggere, con la musica, con il sorriso, con la non violenza, chiunque non voglia darci un posto di rilevanza nella Nostra comunità.
(Elena Tinarelli)