UN DIALOGO DI DISSONANZE E DI COSTRUZIONE CREATIVA: IL CONCERTO DI NOREDA GRAVES & HER BAND

UN DIALOGO DI DISSONANZE E DI COSTRUZIONE CREATIVA: IL CONCERTO DI NOREDA GRAVES & HER BAND

Arrivo a Perugia in anticipo di un giorno, in vista dell’apertura del Festival di Trasimeno Blues 2022 e me la prendo comoda. Approfitto per salutare degli amici e, dato che in questa settimana non dormirò praticamente mai, decido di non mettere la sveglia per il giorno dopo. Mi alzo a mezzogiorno inoltrato e il tempo scorre a ritmi lenti per il caldo torrido. Quando è ora di partire, realizzo che la sera prima ho parcheggiato la macchina con poca lungimiranza, così, dove prima c’era la fresca ombra della notte, ho trovato un sole cocente che ha arroventato l’abitacolo nonostante la mia abitudine di lasciare due dita dei finestrini aperti per far circolare aria. Un’abitudine ereditata da mio padre, che amo custodire e che spesso ha fatto la differenza. Per l’atteso concerto di Noreda Graves & Her Band si ritorna alla Cantina di Monte Vibiano, l’incantevole Terrazza che si affaccia sulle verdi colline umbre di Mercatello di Marsciano. Il palco è lì, silente, dove l’avevamo lasciato nella seconda anteprima di Trasimeno Blues, con i suoi strumenti, le sue attrezzature, paziente, in attesa di prendere vita, mentre una generosa rigenerante brezza accarezza il prato, la pelle e ogni cosa. Il concerto inizia all’imbrunire come un’esplosione. Noreda arriva sul palco, incalzante e decisa, sulle prime note funky di “Just Kissed My Baby” dei The Meters. Fasciata da un abito plissettato color verde smeraldo, indossa una vistosa e regale parure rosso corallo, che ne esalta i bei lineamenti e la testa calva. Ai piedi calza un paio di scarpe trasparenti con un alto plateau floreale a tinte verdi, rosse, bianche e conquista la scena senza mezze misure. Torno indietro nel tempo al giorno del mio trentesimo compleanno quando mi sono fatta l’audace regalo di radermi i capelli a zero, sia per provare la sensazione dell’acqua che dal volto prosegue sul cranio senza l’ingombro dei capelli, quando ci si lava la faccia, sia per empatia con una delle mie più care amiche che, affetta da alopecia, aveva perso tutti i capelli (ricresciuti dopo un periodo di ippoterapia), sia perché ne intuivo la valenza formativa. In effetti è stato sorprendente indossare una nudità come se fosse un abito griffato, la preziosità rara, la fragilità che fa emergere la forza, l’anormalità che diventa carattere, intensità, bellezza. Completamente calva, ho contattato la mia identità di genere e di persona e il coraggio di occupare lo spazio e il tempo, oltre il vissuto, oltre i sogni che si sarebbero infranti, oltre il dolore che sarebbe arrivato e mi riconosco in questa immagine fiera di Noreda che sembra incarnare le parole di Chandra Livia Candiani (che nel pomeriggio, non volendo, ho sentito citare in un corso di formazione sulle metodologie innovative ed inclusive di insegnamento e apprendimento, tenuto online da Rocco Filippo Nero Pergola con il team di Roma 6: “Che tu possa strapparti via e prenderti nel pugno, abitarti, sentire il dono del corpo quando è solo e del respiro che trasporta il mondo, che ti addestri ad inchinare un grazie a tutto, ma proprio tutto, anche il male, soprattutto questo male, che fa migrare, lasciare le lenzuola e le ombre nascoste nei cassetti, le voci serrate in bocca…”. E comprendo profondamente che la vera umiltà ha la schiena dritta. Cantante e cantautrice americana del North Carolina, Noreda spazia dal gospel al funk, al blues, all’R&B; tra le sue influenze ci sono James Brown, Aretha Franklin e le Clark Sisters. Da almeno quattro anni porta avanti un progetto musicale con quattro musicisti talentuosi con cui ha formato una band dalle sonorità interessanti. 

Dietro il palco, suggestivamente illuminato, un tronco d’albero funge da scenografia, con i suoi due rami monchi che si proiettano l’uno a oriente e l’altro a occidente, evocando il Cristo in croce con tutta la simbologia che ne deriva, sottolineata da un gigantesco salice piangente a destra del palco e un alto cipresso alla sua sinistra. Sullo sfondo le prime luci accese dalle finestre del gruppetto di case sulla collina, salutano il sole appena tramontato e assumono le sembianze di un presepe fuori stagione. Noreda fende lo spazio con il suo incedere sul palco e lo occupa con una presenza magnetica. Ha un’estensione vocale incredibile e l’ironia audace di chi non ha più paura. Investe immediatamente tutto ciò che è, senza prevedere sorprese, si svela dall’inizio in tutta la sua potenza canora e interpretativa. Con la band, trasla il pubblico in un universo parallelo in cui la musica, segnata da un ritmo incalzante, non lascia tregua emotiva e artistica. Sostenuta da un groove ruvido di una band talentuosa, apre a gorgheggi e virtuosismi che lasciano senza fiato. Viene dal gospel, dall’Harlem Gospel Choir e “da una costola di questo grande coro di cui Noreda era la voce solista”. Quando canta, la voce è nitida e le vibrazioni vengono create con un gioco di variazioni di note sottolineate dagli strumenti. Ha una presenza scenica solenne, al centro della scena sembra una sacerdotessa, anche quando danza, senza discostarsi troppo dalla sua postazione, soprattutto per via dello spazio del palco occupato quasi interamente dalla strumentazione.

È Maria Camilla Fasola (una dei proprietari della Cantina) a dare il benvenuto al pubblico. Presenta con emozione la serata e confessa di essere “particolarmente contenta non solo per gli artisti meravigliosi che si esibiranno, ma perché oggi è un doppio uno: è la prima volta che la Cantina di Monte Vibiano ospita il Trasimeno Blues ed è la prima serata di Trasimeno Blues 2022”. Si inaugura così il festival. La patron auspica che tutti godano delle leccornie della cucina, del buon vino della cantina e, soprattutto, della buona musica che sempre si può ascoltare sui palchi di Trasimeno Blues. Il direttore del festival, Gianluca Di Maggio, introduce gli artisti; lo fa sempre con un garbo tutto suo e l’essenzialità che lo connota. “Siamo giunti alla 27esima edizione del festival che quest’anno si annuncia emozionante e coinvolgente. Da domani saremo a Castiglione del lago per 5 serate straordinarie con tanti concerti con artisti di tiratura internazionale. Questa sera si esibirà una voce straordinaria del soul e del blues che già lo scorso anno, e anche in altre occasioni, è stata in Umbria e al Trasimeno Blues. Ha emozionato tutti per la sua grandissima capacità di trasmettere sensazioni, sentimenti e per le grandi doti vocali che le permettono di variare dal blues al soul. Proviene dal gospel R&B ed è davvero un’artista eccezionale”. Con la sua Band, Noreda Graves presenta il suo primo album “Introducing Noreda”, una rivisitazione interessante di brani simbolo del blues, del soul, del rhythm and blues, del funk. La gente è seduta intorno a tavolini posizionati sul prato davanti al palco, oppure sull’erba.

Dopo il primo brano, Noreda si rivolge al pubblico. Si esprime in inglese, a parte le prime parole: “Buonasera a tutti!” e il pubblico è già coinvolto. “This is my fifth time with my band but probabily my eighth or ninth time being here in Trasimeno, so (and maybe), we don’t know each other but questa è casa mia”. Sottolinea un senso di appartenenza al festival e all’Umbria pronunciando in italiano la frase cardine e dichiara che è difficile fare un concerto con persone sedute, ricordando al pubblico che riceverà quello che è disposto a investire. Scopre le carte della reciprocità come regola di vita e come legame con il pubblico: “più voi mi date più io vi darò in cambio”. Ed entra nel blues di B.B. King con “Everyday I have the Blues”. La sensazione è di essere a casa dopo che le pareti, i mobili e tutto è stato rinfrescato. I brani delle cover in scaletta danno un senso di familiarità pur rinnovata da canoni artistici totalmente contemporanei. Negli arrangiamenti e nei codici musicali dell’interpretazione del gruppo, la rabbia e la consolazione si sono diluite nella storia del passato, lasciando il posto alla voglia di vivere pienamente. Lo struggimento delle sonorità blues, con questo gruppo, si proietta nel futuro e si connette con le potenzialità evolutive di ogni contesto. Alla fine del brano, Noreda presenta il chitarrista Riccardo Cancellieri e parla di sopravvivenza, “Siamo qui perché siamo sopravvissuti, fisicamente e mentalmente. È la realtà”. E introduce il primo brano tutto loro, “Too bad”. Nell’immaginario collettivo, per un attimo si torna al covid, al tempo dei lock down, dell’isolamento, dell’inedito sociale e del tempo dilatato. La forza della musica e del brano dal sound accattivante riporta tutti al presente in una rinnovata voglia di vita. Noreda insegna al pubblico un paio di frasi musicali e si crea un gioco di dialogo in cui tutti partecipano a tempo debito in coro sulle parole chiave del brano in un ritornello che ha il sapore di un appuntamento: “too bad; so sed”; la cantante può spaziare con la voce e la sua personalità ci tiene tutti in una rete, con la presa sicura, mentre gli strumenti della band, suonati con passione, avvolgono tutto e tutto riconnettono. Noreda chiede alle persone del pubblico se si riservano del tempo per il cuore e sottolinea l’importanza dell’energia dell’amore; chiede come stanno e se si sentono felici, nell’amore. Il pubblico risponde. Ed ecco “Love and happiness” in cui Noreda suona un tamburello a sonagli che conferisce al brano un leggero sapore etnico. Noreda non risparmia variazioni vocali su note liminali e veri e propri vocalizzi che sembrano richiami sciamanici, ingentiliti da una raffinata contemporaneità, per radunarsi al centro del villaggio per qualcosa di importante, di bello, di sacro, di conviviale, di vitale. La musica di Noreda Graves e della sua Band, rende materiale la duplice dimensione di individui e di collettività. Come ad accentuare tale approccio, Noreda riserva spazi individuali anche alla presentazione dei singoli musicisti: Glauco Di Sabatino alla batteria, Walter Monini al basso e i giovanissimi Riccardo Cancellieri alla chitarra e Mattia Parissi (la new entry della band) alle tastiere. Tutti provenienti da un territorio di confine tra il sud delle Marche (Ascoli Piceno) e il nord dell’Abruzzo (Teramo), in cui la stessa Noreda si è trasferita a vivere. Nelle zone di frontiera, spesso, la cultura diventa fluida o, viceversa, si rende ispida, quasi ad ancorarsi per non disperdersi e sopravvivere. Ed è prevalentemente questa connotazione che identifica la band. “In uno stesso brano attraversiamo diverse sfumature dal ritmo inquieto e graffiante a quello morbido e delicato”, rivela Riccardo, il chitarrista, a cena. “La caratteristica principale della nostra musica è il trasporto che Noreda ha sul pubblico. Ci ispiriamo a diversi generi musicali, tutti afferenti al blues”, completa Mattia, il tastierista. “Ci ispiriamo al blues funk e a Bill Withers. Poi rivisitiamo il tutto a modo nostro”, integra Glauco, il batterista. E, come sempre, ho la sensazione che la musica bisogna suonarla e ascoltarla, danzarla e cantarla, il resto, come ha detto Nick Becattini, “serve a raccontarsela”. La versione di “My way”, una delle canzoni più famose e più cantate al mondo, viene presentata in una versione davvero originale con un arrangiamento che fonde l’anima blues con un romanticismo di essenza. “La vita è breve”, che almeno si possa dire, alla fine, di averla vissuta a modo proprio. “Slave” è il secondo brano in scaletta scritto da Norida Graves, con un arrangiamento brioso e una melodia avvolgente. Ed è tutta un’altra corda quella toccata dalla Graves con il brano di Aretha Franklin “Dr. Feelgood” (Love is a serious business), in cui Noreda canta come se rivendicasse il diritto ad avere diritto, in una dimensione tutta femminile, con il supporto musicale maschile della band e un assolo intriso di delicata tenerezza del tastierista, in un gioco di dissonanze che seduce. Sono diversi i momenti in cui si attivano le frasi di dialogo tra Noreda e il pubblico, tipici dei fraseggi blues, ereditati dalla cultura africana e che hanno sostenuto il lavoro nei campi di cotone nelle Americhe. A fine cena il pubblico abbandona i tavoli e si concentra sotto il palco lasciandosi trascinare dal ritmo: ballano tutti, sparsi sul prato, ovunque ci sia uno spazio. Anche Noreda, sinuosa, balla, attivando un dialogo motorio e vocale con il pubblico. “È stato un piacere essere qui, spero vi siate divertiti” sono le parole che riportano alla conclusione del concerto e allo scorrere del tempo, finora sospeso in mezzo alla musica. “Prima di andare, voglio presentarvi la Band. Volete conoscere la band?” All’unisono, il pubblico approva. “Il loro nome è ‘Her Band’, perché loro sono i miei”. Scherza. Alla sua destra il tastierista Mattia Parrisi. “Lui sa sempre dove siamo”, è il geografo del gruppo e “può suonare qualunque cosa, ma ritiene che la mia musica sia la migliore”. Prosegue le presentazioni con Walter Monini “il riferimento del gruppo, accompagnato da un po’ di funk, jazz, e tantissimo blues e siamo tutti e due mancini”. A cena con Walter, abbiamo scoperto di avere alcuni amici in comune. Ai tempi dell’università abbiamo frequentato gli stessi locali storici di Ascoli Piceno e di San Benedetto del Tronto e ci siamo lasciati prendere la mano inviando ai comuni amici tanto di foto e messaggi che hanno portato una ventata di giovinezza adolescenziale e la promessa di rimpatriate in cui ritrovarsi. Chissà: chi vivrà, vedrà! Noreda prosegue con la presentazione della band: “E ora vi parlerò di questo ragazzo: prima di tutto mi ha rubato tutti i capelli”, ironizza Noreda come chi non ha niente da perdere, suscitando l’ilarità del pubblico e scongiurando ogni retropensiero. In effetti Riccardo Cancellieri, ha una folta e lunga chioma di capelli ricci. “In secondo luogo, è giovane, ma in realtà suona come un vecchio. È sempre pronto!”. Dopo essere stati presentati, i musicisti si abbandonano a degli assoli e si percepisce la compattezza di un gruppo che ha trovato la sua dimensione. Last, butnotleast, è la volta del batterista, Glauco Di Sabatini. “Come vi ho detto prima, lui è il primo dei musicisti che ho coinvolto in questo progetto, cinque anni fa, e siamo gemelli. È stato il mio primo insegnante italiano: potete immaginare … Il mio nome è Noreda, Noreda Graves. È un grande piacere essere qui al Trasimeno Blues”. Ed è proprio sulla parola blues che Noreda e la band si concedono ancora in un’interpretazione musicale. Noreda e tutti i musicisti si uniscono come fanno gli attori a teatro e si inchinano davanti al pubblico sovrano che chiede un bis. “Ho già detto che Trasimeno è casa mia, così potete scegliere tra qualcosa di veloce o qualcosa di lento”. Il pubblico reclama entrambe le opzioni. Dopo un brano ritmato il concerto si conclude con le note di Purple Rain, in una versione e in una interpretazione struggente, molto avvolgente e nostalgica con il coinvolgimento del pubblico nel refrain. A fine concerto, dopo un tempo di scambio e di decantazione, il pubblico si disperde e in ognuno, sulla via del ritorno, circolano le note con la sensazione che ci sia stato un dialogo, tra la voce e gli strumenti, tra la band e il pubblico, in cui ogni elemento è stato al servizio di un processo, in cui le dissonanze si sono confrontate, nella pace, nella costruzione creativa e la musica di stasera ha gettato nel cuore il seme che un nuovo mondo è possibile. Infatti, Trasimeno Blues non è solo musica, è Musica.

(M.P.)