UNA GIORNATA PARTICOLARE ALL’INSEGNA DEL DESERT BLUES

UNA GIORNATA PARTICOLARE ALL’INSEGNA DEL DESERT BLUES

La domenica del 28 luglio 2024 inizia con un risveglio rilassante e grato per essermi immersa nella suggestiva ed entusiasmante atmosfera di Trasimeno Blues fin dalla sua apertura la sera prima. Dopo un periodo frenetico durato un intero anno, in cui, per lavoro, ho vissuto a Roma lasciando la maggior parte della famiglia a Perugia, mi libero di ogni forma di stress, abbandonandomi alla musica, agli amici e alla bellezza di uno dei borghi più incantevoli di questo territorio intorno al lago Trasimeno. Inizio la giornata con un’ottima colazione, all’hotel La Torre, in pieno centro, condivisa con una delle mie migliori amiche, in un clima sereno, emozionato e aperto. Poi, mi concedo una passeggiata lenta nella splendida cornice di Castiglion del Lago, consapevole che, da quel momento in poi, avrei vissuto tutta la giornata nell’attesa e nella preparazione che mi avrebbe riportato tra le note del festival per vivere qualcosa di ancora più prezioso e inedito. Tuttavia, tutte queste sensazioni sono state accompagnate anche da quello strano timore che ti prende, quando ci tieni tanto a qualcosa, cioè il sentore che qualche imprevista forza contrapposta al bene possa all’improvviso rovinare tutto: Gianluca Di Maggio, direttore artistico del festival, a cui mi lega una amicizia storica, sapendo che mio marito Oumar Ndiaye, educatore e mediatore culturale, lavora in un centro di accoglienza migranti dell’ARCI, in provincia di Perugia, ha lanciato l’idea di invitare i ragazzi ospiti del Centro ad assistere agli eventi di Trasimeno Blues, compresi i concerti a pagamento per i quali sarebbero stati donati loro dei biglietti omaggio. Forse perché Oumar è senegalese di origine, forse perché è abituato a rapportarsi con realtà multiculturali o forse, semplicemente, perché ama il suo lavoro, non ci ha pensato due volte ad affrontare la delicata e necessaria burocrazia che ruota intorno a realtà complesse e delicate, chiedendo alla direzione del Centro di accoglienza per minori migranti dove lavora, di poter portare al Festival un nutrito numero di adolescenti africani, per prendere parte sia al concerto gratuito di Gio Cristiano e la sua band (in programma a piazza Mazzini nel tardo pomeriggio), sia ai concerti a pagamento di Kora Hero e Samba Touré, usufruendo dei biglietti omaggio offerti loro dal Festival, grazie alla generosa iniziativa di Gianluca Di Maggio e alla buona volontà di quanti hanno a cuore il bene di questi giovani, già molto provati nei loro vissuti personali e nelle loro storie umane di migrazione e di dolore. Quasi mi commuovo al pensiero di quanto possa essere importante per loro, tutti adolescenti, questa opportunità, non solo come diversivo di una routine ancora troppo emarginata e troppo uguale a se stessa, quanto, soprattutto, perché possono riconoscersi in una dimensione culturale africana che si esprime attraverso la musica sul palco principale di Trasimeno Blues, in cui ritrovare una certa dignità oltre che una maggiore fiducia in se stessi. Gianluca Di Maggio quest’anno ha voluto dare un segno tangibile di concreta sensibilità sociale e, in famiglia, ne siamo tutti rapiti. Decidiamo di intervallare gli appuntamenti con i concerti, organizzando un pic-nic all’ombra di uno dei tanti spazi castiglionesi in riva al lago, per non gravare sulle finanze del Centro. Per combinazione, mi sono resa conto che avrei avuto anche tutti i nostri figli con noi e che, oltre a condividere gli eventi della giornata di Trasimeno Blues con questi ragazzi, ci possiamo ritagliare, come famiglia, uno spazio in cui ritrovarci tutti insieme dopo un bel po’ di tempo. Organizzo ogni cosa vincendo il caldo insopportabile della giornata che rende ogni gesto una sfida, in particolare quando alle due di pomeriggio, con quaranta gradi di temperatura, devi trovare la forza per uscire di casa e fare qualcosa di faticoso. Oumar arriva per pranzo più stanco e provato di me e mi fa segno di andare, così salgo in macchina e ci dirigiamo presso l’ostello di Perugia per andare a prendere il pulmino che sarebbe servito più tardi per accompagnare i ragazzi al Festival. Dopo aver pianificato nei dettagli ogni cosa e aver passato il resto del cocente pomeriggio tra i fornelli a preparare l’occorrente per la cena al sacco della sera, per tutti, saluto Oumar che andrà a prendere i ragazzi con il pulmino e salgo in macchina con il mio vicino di casa per correre a Castiglion del Lago perché non voglio perdermi la presentazione del libro di Gianluca Diana (romano, giornalista, scrittore, dj e speaker radiofonico) che intendo acquistare, sia perché racconta la storia di Mariem Hassan, una donna e artista simbolo del popolo saharawi, sia per la struttura stessa del libro che ho avuto modo di sfogliare la sera prima quando ho incontrato l’autore a cena, insieme ad Antonella Bazzoli (giornalista) e a Maria Luisa Teresa Pasquarella (blogger e che tutti chiamiamo Meri se non altro per risparmiare tempo) che avrebbero condotto questo evento a palazzo della Corgna, Con noi c’è anche Roberto Caselli (milanese, giornalista, scrittore e speaker radiofonico di Radio Popolare) che, il pomeriggio precedente, ha presentato il suo ultimo libro “La storia della black music”. Nell’andare, non sto nella pelle al pensiero che, dopo tanto tempo che non passo qualche ora con tutta la mia famiglia radunata insieme, ci ritroveremo più tardi per vivere il concerto serale a Castiglione e passare insieme una bella nottata. Con Alessandro, il mio vicino di casa, con qualche minuto di ritardo sulla tabella di marcia, arrivo, finalmente, al Palazzo della Corgna, ubicato a pochi passi sia da piazza Mazzini che dalla Rocca del Leone. Veniamo accolti dalla calda voce dell’autore che, al microfono, con alle spalle l’immagine proiettata del Sahara occidentale, sta già raccontando il suo libro. Per timore di non trovare una copia disponibile a fine presentazione, acquisto il libro al mio arrivo e lo sfoglio ancora una volta. Presto capisco che si tratta di qualcosa di più di un semplice libro: Gianluca Diana ci sta presentando una persona, una musicista, una donna saharawi coraggiosa e fiera che nel corso di tutta la sua esistenza turbolenta, ha dato voce alla richiesta d’identità negata di un popolo, ancora una volta, affiancando una lotta che lei stessa ha combattuto soprattutto con la sua musica. Mi accorgo di tenere il libro tra le mani come un diario prezioso, un tesoro ritrovato a cui riconosco il merito di facilitare il dovere sociale di non essere indifferenti. Penso che nell’essere umano convivano, da sempre, due facce d’una stessa medaglia, contrapposte fra loro, che celano la straordinaria capacità che ognuno di noi ha di saper creare bellezza senza confini e, al contempo, quella di saper erigere muri invalicabili di dolore, separazione e, perfino, distruzione. Più tardi mi accorgo che qui a Trasimeno Blues, Gianluca Diana, attraverso Mariem Hassan e il popolo Saharawi, ci ha preso per mano e ci ha guidato nelle viscere della terra, in un luogo dove non esistono confini, in cui potersi ritrovare ogni volta, in cui riconoscersi. In questo luogo, che il pubblico di Trasimeno Blues conosce, ci siamo sentiti richiamati dalle avvolgenti melodie di Kora Hero e le ipnotiche note di Samba Touré, nella convinzione che non esiste muro che il blues non possa abbattere e che la musica può sempre farci vivere un risveglio interiore per uscire dal nostro torpore. Sapevo che quella sera il desert blues avrebbe radunato intorno a sé tanta gente, con vissuti e storie diverse, unita da un sentimento comune, giunta lì con il suo pezzo di Africa nel cuore, desiderosa di poter vivere anche per un solo istante un viaggio oltre i confini del tempo e dello spazio in una specie di trans lucida. Per tutto il giorno ho investito tante energie per fare in modo che questo accadesse e che le persone che amo di più fossero lì a condividere quel momento insieme a me; così, dopo aver consumato il nostro pic-nic sotto gli olivi di uno dei parchi di Castiglion del Lago, siamo finalmente arrivati sugli spalti della Rocca con la nostra bella squadra di giovani, generosamente ospitata da Trasimeno Blues: oltre a me e Oumar, i miei figli Malick con la sua fidanzata Matilde, Alessandro e Nicole con il suo fidanzato Simone e i ragazzi dell’ARCI della Conca del Sole di Corciano, Abass Sanyang, Maline Kanteh, Jallo Yahya e Fatty del Gambia (lo stesso paese di Kora Hero), Moumouni Alidou del Benin, Diallo Ibrahim della Guinea, Nouhoum Ismaïl della Costa Avorio, Moussa Dembele del Mali (lo stesso paese di Samba Touré e dei suoi musicisti). Mi piace elencare i loro nomi, anche insieme al nome dei miei figli e dei loro amori, perché credo che la nostra società dovrebbe iniziare a chiamare le persone per nome a partire dagli immigrati, riconoscere loro un’identità personale, oltre che percepirli come parte di una categoria sociale specifica e ancora emarginata. Credo che pronunciare i loro nomi, impararli e farli corrispondere ad un volto, sia il primo simbolo di accoglienza reale e di inclusione sociale. Con questo intento, Meri, responsabile del blog di Trasimeno Blues, prima del concerto, cercandoli tra il pubblico, è venuta a salutarli, a nome di tutto lo staff del festival e, in particolare del suo direttore artistico, impegnatissimo dietro le quinte. Si è presentata, ha voluto conoscere tutti i loro nomi e si sono create delle situazioni divertenti collegate alla difficoltà di pronunciarli. È stato un momento allegro e speciale grazie al quale, i ragazzi, fino a quel momento completamente spaesati, hanno iniziato a sciogliersi. La blogger li ha ringraziati a nome di Gianluca Di Maggio e di tutto lo staff del Festival per aver accettato l’invito e si sono sentiti importanti. Questa cura che Trasimeno Blues ha avuto verso una frangia fragile della società, andando oltre il semplice biglietto omaggio, anzi, dando loro la sensazione di essere ospiti d’onore, accolti e salutati, ha dato un senso davvero inclusivo a questa generosa opportunità. Chiacchierando con Meri, mi ha riportato una frase che suo padre pronunciava spesso: “La façon de donner vaut mieux de ce qu’on donne” (il modo di donare vale più del dono stesso). Il modo in cui Trasimeno Blues ha gestito l’invito ha fatto la differenza tra il “fare la carità”, dall’alto verso il basso e il donare significativo che si agisce alla pari riconoscendo il reciproco valore umano.           Quando parte la prima nota del concerto pomeridiano e ancor più del duplice concerto serale, introdotto da Gianluca Diana con parole toccanti e coinvolgenti, mi sembra di vivere come quando, dopo tanto tempo, si ritorna in un luogo familiare, a lungo rimasto nascosto in un angolo prezioso della memoria, e di scoprire di aver dimenticato tutte le strade e i luoghi un tempo cari che affiorano come avviene per il mondo delle idee di Platone. Durante il concerto la musica continuamente ci invita a entrare in quei luoghi e a lasciarci andare vincendo quel torpore che inchioda tutti alla sedia. Quando le sonorità si fanno più ritmate, percepisco l’impulso a danzare, anche se resto seduta senza riuscire ad osare, fino a quando uno dei ragazzi del nostro gruppo si alza in piedi, abbandona la sua postazione e, iniziando a danzare con tutta la sua ritrovata energia tipicamente africana, apre quella porta nascosta e trascina tutti dietro di sé, fin sopra al palco, dove, nel frattempo il gruppo di Samba Touré viene raggiunto da Kora Hero e i suoi musicisti esibendosi insieme in brani meravigliosi. La sicurezza si allerta, eppure la spontaneità del momento, accolta dai membri delle due band, e il dialogo tra musica e danza, lasciano intendere che non c’è niente di pericoloso in questo momento magico, pieno di musica, di allegria e di comunicazione tra le eloquenti note suonate dagli strumenti e i movimenti del corpo, altrettanto comunicativi, aprendo un dialogo tra artisti e pubblico e lasciando ai “nostri” ragazzi, un momento di protagonismo. Inutile dire quanto questo magico imprevisto abbia contaminato i presenti e abbia portato una gioia immensa nel cuore di ognuno di noi. Mi sono sentita così piena di emozione nel guardare intorno a me e negli occhi di quei ragazzi (molti dei quali sono arrivati in Italia dopo aver affrontato, come Kora Hero, un viaggio della speranza su instabili barconi, in condizioni ai limiti della sopravvivenza, dopo aver attraversato il deserto e poi il mare, sfidando la morte) un senso di grata felicità. Se solo i signori della guerra potessero respirare la stessa bellezza vissuta anche per un solo istante in quelle note blues, si vivrebbe tutti in un mondo di pace. Chiuso il sipario del festival a fine serata, in attesa che si riapra nei giorni successivi, un’eco vibrante mi abita a lungo e nutre la sensazione che in questa seconda giornata di festival, il blues abbia incontrato il blues e ogni separazione e pregiudizio siano stati portati via dalla musica suonata da artisti incredibili che Trasimeno Blues riesce a regalarci ogni volta.

(Paola Gerardi)