DALLA PROIEZIONE CINEMATOGRAFICA AL CONCERTO BLUES, LA PAROLA D’ORDINE È “BALLATA”

DALLA PROIEZIONE CINEMATOGRAFICA AL CONCERTO BLUES, LA PAROLA D’ORDINE È “BALLATA”

La terza sera di Trasimeno Blues si apre con un evento speciale: la proiezione di un film che racconta l’Umbria del Trasimeno in chiave blues e introduce ad una primizia musicale: il primo concerto del neo-gruppo “The Ballad & Sons”. Per la regia di Mauro Magrini, prodotto dalla Visualcam Production, “La ballata del Trasimeno” è un mediometraggio che nasce da un’esigenza promozionale turistica della Regione Umbria e dalla passione per il blues del regista e degli attori del film. Spesso, è proprio attraverso questo tipo di sentieri che la creatività entra in campo ad ispirare. Così, tra le pieghe di immagini mozzafiato degne di essere definite una Grande Bellezza (prendendo in prestito il titolo del film di Sorrentino), che ci fanno viaggiare tra panorami, scorci e dettagli incantati del lago Trasimeno e dei suoi borghi, una recitazione intensa e coinvolgente di Massimiliano Varrese e di Mirko Revoyera e la spontaneità delle comparse con il loro meraviglioso accento umbro, si infila il blues che diventa un personaggio tra i personaggi e fa da collante tra le diverse dimensioni da cui l’idea ha preso forma, oltre a connotarne la colonna sonora. Sebbene la sceneggiatura e la recitazione della bella protagonista femminile siano deboli e il personaggio del bluesman sia poco connotato e amalgamato, nonostante la fisicità interessante dell’attore che lo ha impersonato, il lavoro valorizza il territorio e lo connota in una dimensione blues. Sembra che le meraviglie umbre, la colonna sonora rigorosamente blues, alcuni personaggi, in particolare il protagonista e il pescatore, entrino nel cuore dello spettatore, lasciando in secondo piano gli aspetti più acerbi. Prima della proiezione, incontro Mirko Revoyera (che ha curato anche i dialoghi), di cui ho già avuto modo, nel corso degli anni, di apprezzarne le qualità attoriali, la sensibilità artistica, i valori umani, e Massimiliano Varrese, che emoziona per quel suo sguardo penetrante e la capacità di essere naturale sulla scena, virtù rara e necessaria. A Mirko chiedo come si è preparato per impersonare un pescatore, professione da cui siamo lontani e dunque difficile da costruire nella mappa emotiva e del vissuto interiore. “Ti dico la verità, sono andato a imparare da un pescatore. Abbiamo chiesto al presidente dell’associazione dei pescatori di insegnaci a pescare: ho seguito un paio di lezioni dalla mattina presto fino al giorno inoltrato, sul lago Trasimeno e ho imparato a gettare le reti, a controllare i movimenti, a stare in equilibrio sulla barca, a guidarla, a condurre il motore, a tirarlo fuori dall’acqua. Ho imparato il “listro” che permette di orientarsi visivamente, quando non si hanno strumenti di riferimento. Tutti gesti che non impareresti mai se non perché è il tuo lavoro o perché ti serve per il personaggio che devi interpretare. Ovviamente non si diventa pescatori in così poco tempo: avevo l’esigenza di acquisire dimestichezza con i gesti, imparare quei gesti necessari per essere credibile nelle riprese e me li poteva insegnare chi quei gesti li sa fare bene. Il mio maestro di pesca, il presidente dei pescatori, mi ha insegnato tutto; è stato gentilissimo e mi ha preso sotto la sua ala come se fossi un figlio o un giovane che sta a cuore. È stato divertentissimo anche se molto impegnativo. Ho anche preso un’insolazione. E ho passato una sorta di esame: ho steso due chilometri e mezzo di reti e ho pescato otto chili di pesce. Pochi, però il presidente mi ha incoraggiato dicendomi che, per essere all’inizio, posso ritenermi soddisfatto”. In effetti nella recitazione Mirko è disinvolto, naturale e connesso con il personaggio, riesce ad ispirare una certa saggezza e quella serenità di chi custodisce il segreto di come prendere la vita. Ascoltandolo raccontare mi confermo nella convinzione che il bello del mestiere dell’attore stia proprio nell’accedere a contesti altri che, per esigenza professionale, vanno esplorati fino a farli propri per metterli al servizio del processo creativo. Ed è una ricchezza senza eguali. Penso alla fatica che un attore o un’attrice deve affrontare per essere credibile, oltre alle competenze tecniche che vanno possedute. “E’ proprio vero, soprattutto quando, come nel mio caso, ero chiamato ad interpretare un maestro pescatore nei confronti di un giovane allievo”. Chiedo a Mirko cosa ha da dire un pescatore a chi ama il blues e la sua risposta mi emoziona perché rintraccia alcuni elementi comuni tra due mondi apparentemente distanti: “Girando questo film, ho riflettuto su alcune questioni estetiche: per esempio il tempo, il tempo del blues, il basso, oppure sull’andare lentamente innanzi e non preoccuparsi di ciò che accadrà, ma inventarci sopra. E questo è un po’ consono al blues perché c’è un passo che ti accompagna in quella gonfia tristezza che si ritrova addosso il blues di per sé. Quando sei su una barca e scivoli sull’acqua, anche quello è un tempo di blues. Credo che, non a caso, al regista Mauro Magrini e alla sceneggiatrice Arianna Fiandrini, sia venuto in testa di fare questo parallelo perché il Trasimeno funziona a passo di blues”. A livello interpretativo è difficile rendere lo sguardo del pescatore, con i suoi tempi lunghi, in cui tutto sembra uguale a se stesso. In realtà, dietro quel silenzio di apparente immobilità, succedono mondi. “Per immedesimarmi nel pescatore, ho immaginato che quest’uomo, nella sua esperienza, di giorni di fatica, di tanto sole, di pioggia, di reti da strecciare, di pesci da mondare, avesse maturato un occhio saggio verso la vita. Sono convinto che i pescatori maturino qualità importanti: innanzitutto la saggezza; penso, ad esempio, al freno che devono dare all’impeto dei giovani perché è più prudente muoversi con pazienza, in opposizione al tutto e subito; poi l’attenzione nei gesti che devono essere equilibrati. In quello sguardo, nel rapporto con il giovane (che è il protagonista del film) che arriva, nel modo di guardare il mondo, secondo me deve esserci tutto questo. Nella faccia e nei gesti di questo pescatore ho messo questa saggezza progressiva che finisce solo perché finisce la vita, altrimenti andrebbe avanti all’infinito”.

A Massimiliano Varrese chiedo che emozione si prova a interpretare un personaggio che si perde e si ritrova e se questa condizione lo abbia avvicinato al blues: “Non è la prima volta che mi capita di interpretare personaggi come questo, anzi, ultimamente mi capita spesso. Forse perché nella mia vita sono molto cosi. Diciamo che sono uno che tende a perdersi e poi a ritrovarsi. Avvicinarsi al blues secondo me significa avvicinarsi a quella che è l’anima un po’ stonata di tutti. Poi l’Umbria, il lago sono posti che ormai mi appartengono da tantissimi anni e ogni volta che torno è una grande emozione: ormai mi sento a casa. Mi perdo spesso qui ed è bello farlo”. Proseguo la chiacchierata chiedendogli se c’è un colore particolare nella gioia di ritrovarsi. “Trovare la gratitudine per le cose semplici”. Nel mediometraggio ritroviamo scene del festival blues che da 28 anni costituisce un appuntamento per gli appassionati del genere musicale e per il territorio del Trasimeno e spezzoni di concerti del 2022, in particolare quello dei Malick & The Smooth e di Lebron Johnson e la Andy Pitt Band che hanno animato Piazza Mazzini per i concerti pomeridiani.

Dopo la proiezione, il palco si anima di strumenti per tornare ad indossare il suo ruolo di arena blues e accogliere i principali personaggi del film che, in un clima affiatato, donano al pubblico la loro esecuzione dei brani della colonna sonora, mentre sullo sfondo scorrono immagini di back-stage con didascalie esplicative naïf. Salgono sul palco Mauro Magrini: voce, chitarra resofonica, armonica; Riccarco Corradini: basso; Alessio Lucaroni: batteria (Nonché il batterista dei Malick & The Smooth); Mirko Revojera: voce, chitarra acustica; Fabrizio Martin: voce, chitarra acustica; Arianna Fiandrini: voce, basso elettrico; Laura Madeo: voce, tamburello. Sono visibilmente emozionati e questo aspetto li avvicina al pubblico, come gli amici che suonano nella porta accanto. “Rivisitiamo alcuni brani della colonna sonora live” annunciano prima di iniziare a suonare e Mauro Magrini tocca il cuore di tutti, parlando con sincerità: “Approfitto per ringraziare tutti voi, per me è un grande piacere essere qua. Gianluca lo sa bene, considerando che per anni ho preso le ferie per poter partecipare a Trasimeno Blues e adesso mi trovo su questo magnifico palco e ringrazio veramente tutto lo staff, ringrazio Castiglion del Lago, la Regione Umbria e tutti loro, i ragazzi che ci hanno dato una mano per realizzare questo mediometraggio che è stato prodotto dalla nostra Associazione (APS VISUACAM) con lo scopo di presentare il territorio umbro in tutta la sua genuinità, senza fronzoli, utilizzando anche nel linguaggio la genuinità dell’umbro”. Vengono suonate le prime note e Arianna Fiandrini presenta il gruppo. Dopo il primo brano “Hey, Hey, Honey (The Hilltop Springboard), interpretato con fresca allegria, Arianna presenta il nome del gruppo “Ballad & Sons” e, oltre a raccontare come nasce il loro progetto musicale, riporta alla memoria il momento del film che corrisponde al brano suonato, rievocandone le immagini e i punti salienti. Proseguono con i brani successivi, tutti blues: “Hey Honey” dei The Talbott Brothers, “Hey, Hey Daddy Blues” (Blind Blake), “Man on a Ledge” (The Talbott Brothers). Dopo l’ultimo brano (“Boogie Chillen” di John Lee Hooker), sul palco si celebra la tenerezza di un padre e una figlia: Massimiliano Varrese e la piccola-grande Mia, si uniscono al resto dei musicisti/cast per un finale gioioso e familiare. E anche un po’ toccante: mi emoziono sempre di fronte ai padri e alle madri quando intercetto nei loro occhi quell’amore genitoriale così profondo, l’unico per il quale si sia disposti a dare davvero la vita. Tutti cantano e ballano, compresa Mia con il suo papà, per poi passare il testimone agli Hoodoo Doctors & Kazoompet Machine. “Abbiamo in progetto di farci un film”, confida Arianna Fiandrini. Una naturale conseguenza, dati i premi vinti e alcuni ingredienti di effetto. Spero abbiano il coraggio di esplorare il soggetto e svilupparlo in una sceneggiatura che faccia emergere le parti emotive dei vissuti e delle dinamiche che riguardano i personaggi, di cui si sente la mancanza nella versione attuale e sono certa che ci riusciranno. Se c’è passione, (che non manca di certo) entusiasmo e umiltà, si realizzano grandi cose. Non ci resta che attendere. (M.P.)