È NELLA MUSICA IL VENTO DEL CAMBIAMENTO: INTERVISTA A ROBERTO LUTI, IN CARTELLONE CON LUKE WINSLOW KING IL 21 LUGLIO A TRASIMENO BLUES 2023

È NELLA MUSICA IL VENTO DEL CAMBIAMENTO: INTERVISTA A ROBERTO LUTI, IN CARTELLONE CON LUKE WINSLOW KING IL 21 LUGLIO A TRASIMENO BLUES 2023

La musica e la vita nascono insieme. A volte tacciono, per ascoltarsi meglio. A volte si parlano addosso, a volte sembra che siano la stessa cosa. Sia la vita che la musica conoscono gli abissi della solitudine come, le alture del volo e la forza del collettivo. E dove nessuno arriva, la musica ce la fa, anzi, è già lì. Ed è con questa speranza nel cuore che Luke Winslow King e Roberto Luti, hanno fatto della loro musica e del progetto Playing For Change, la loro rivoluzione pacifica per il cambiamento. Hanno ribaltato il paradigma stesso del concetto di rivoluzione: Non è andare contro, è andare verso, e farlo insieme. Nasce con questo spirito Playing For Change (a cui, prima Roberto, poi Luke, hanno aderito) mettendo insieme artisti di strada provenienti da ogni dove, geograficamente, etnicamente, culturalmente, filosoficamente, anagraficamente, per riconoscersi in una direzione comune: assumersi la responsabilità di farsi carico del destino dell’umanità, senza pretese, senza ostentazione, semplicemente, pronunciando nel proprio agire musicale e di vita, quell’ “I care” che don Milani insegnava ai suoi ragazzi di Barbiana, preoccupando ogni forma di istituzione. Dalla strada dell’artista a quella della gente. Lo sguardo non è più su chi o cosa combattere, è su ciò che unisce ed è attraverso la promozione degli intenti comuni che, magicamente, veniamo traghettati in un mondo equo, solidale, creativo. Quando gli esseri umani seguono questa stella polare, avvengono miracoli, se poi a farlo sono gli artisti, in particolare i musicisti, succede che tutti capiamo senza aver bisogno di parlare, tutti ci riconosciamo in quel linguaggio universale che abbatte ogni separazione e ci ricorda che “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (per dirla con Shakespeare) e che ci sono margini di dignità e di felicità per tutti, che le discriminazioni e le disuguaglianze inaridiscono e immiseriscono soprattutto chi ne trae vantaggio economico o di classe a discapito degli altri, che nessuno di noi può prevedere in quale essere umano si stia celando un genio e che, per questo, vale la pena garantire a ognuno la propria opportunità. È una responsabilità, sociale, politica, collettiva. Leonardo Da Vinci ha ispirato e migliorato la vita di tutti.

Con questo stato d’animo e un certo movimento emotivo, formulo la prima domanda, per telefono, mentre Roberto Luti, è in traghetto in partenza verso la Sardegna, dove suonerà con Elisabetta Maulo (nel duo Betta&Luti), in alcuni concerti (dal Festival dei Vulcani di Santo Lussurgi, alla spiaggia di Porto Ferru, al litorale di Porto Pino), avvalendosi in uno di essi, del contributo del batterista sardo Carlo Sezzi.

Mi racconta che per lui la musica è un viaggio che parte dal blues e attraversa diversi mondi musicali ispirati dal momento. C’è un ascolto sottile che, oltre agli aspetti strettamente musicali, riguarda le risonanze energetiche con l’anima del luogo in cui si sta suonando. “E’ come se la musica rimbalzasse a livello spirituale e ci fosse una eco di risposta”. Ascoltando questa risposta arriva l’ispirazione a sorprendere il musicista stesso prima ancora del pubblico, “in un viaggio che si fa insieme; io come musicista sono semplicemente un tramite di cose che già ci sono, fatte della storia del luogo, delle persone presenti, delle mie influenze musicali, che mi suggeriscono la musica da suonare. Il mio compito è quello di catturarla con il mio orecchio energetico. Ed è là che avviene la bellezza, la comunicazione, la sintonia con tutti e con tutto. Come, per esempio, venire al Festival di Trasimeno Blues e sentire come questo evento sia connesso con l’energia di quei luoghi fatti della storia del festival, degli artisti che ci hanno suonato, del fatto che esista da anni. Se ascolti questa risonanza, la percepisci: una sorta di mondo energetico già presente, in cui tutti siamo immersi” in una fusione che apre a una esperienza inedita in armonia con il tutto: le persone, il pubblico, i musicisti, il luogo. “Si crea una magia. Parlo di magia perché, nonostante l’impegno, l’apertura, la sensibilità, l’ascolto, entrare in completa fluida risonanza, non succede tutte le volte. Quando succede lo si sente. È qualcosa di spirituale, di raro. Sono notti magiche in cui c’è un allineamento speciale di tutti gli elementi coinvolti. È quello che cerco tutte le volte che suono, che scrivo”.  

D. Quando il dolore è relativo a contesti di discriminazione, ingiustizia sociale, impari opportunità, c’è un grido umano che si origina nelle viscere della Terra e impone un’assunzione di responsabilità. Tu, come artista e come parte del progetto Playing For Change, come agisci questa responsabilità? La musica può davvero invertire la direzione dell’umano vivere e dei suoi valori? E come la musica ti ha cambiato in questo senso?

R. Non possiamo restare indifferenti. Una qualche reazione deve essere suscitata. Anche semplicemente una riflessione. Spesso sono dimensioni molto complesse. Quando si parla di discriminazione e di impari opportunità spesso si parla di mala educazione, di condizionamenti culturali. Il vero colpevole è la società, il contesto in cui si nasce. Poi ci sono persone che si comportano in modo discriminatorio deliberatamente, con un agire calcolato che ha a che fare con la politica, l’economia, il perseguire interessi di danaro o di successo politico, mettendo in secondo piano quei valori naturali umani. Qui si aprirebbe un discorso filosofico, spirituale. Penso che aiutare il prossimo, aiutarsi a vicenda, condividere, siano valori universali della natura umana. Dovrebbero essere rispettati e onorati sempre. Un conto è quando sono calpestati per mancanza di educazione, un conto è quando sono violati, scansati appositamente per interessi economici o politici. Quest’ultima è una condizione più difficile da sradicare. I cambiamenti avvengono lentamente e io sono fiducioso nell’essere umano altrimenti non avrebbe senso fare niente. Credo che nelle culture e nelle società possano e debbano avvenire cambiamenti. Molto lentamente, altrimenti si costruisce un qualcosa su delle fondamenta fragili. Playing For Change, come altre organizzazioni, opera in questo senso. La musica ha un linguaggio universale compreso in tutto il mondo, indipendentemente dalla situazione economica, provenienza, colore della pelle, religione, estrazione sociale, opinioni politiche. La musica abbatte e travolge tutti questi muri. Posso ballare e amare una stessa canzone che viene amata da una persona che potrebbe essere al mio opposto, o comunque diversa. La musica riesce a mettere le persone in una sorta di sintonia. E già questo è un insegnamento che porta a riflettere sulla ricchezza delle differenze tra noi, sia come esseri umani che come popoli. Approcciarsi l’un l’altro con curiosità attribuisce alle differenze un ruolo ispirante: diventano semplicemente delle peculiarità. Scambiarsi i punti di vista, la propria cultura, ci porta ad una crescita, lenta e positiva che ci fa superare un sacco di ostacoli, lasciandoci alle spalle le divisioni e i conflitti culturali. La musica ci fa sentire tutti uniti. Playing For Change costruisce scuole di musica in posti in cui spesso i bambini non hanno prospettive per il futuro; sono circondati da modelli sbagliati in cui si ottiene successo attraverso il crimine, la legge del più forte, relazioni opportuniste o mafiose, non genuine. I bambini non hanno modelli positivi a cui ispirarsi e la musica dà loro accesso ad un modello alternativo, ad un modo di stare insieme sullo stesso piano, di confrontarsi. Quando si suona insieme non è che quello più grosso è più forte. Possono esserci differenze, anche economiche, nelle famiglie dei bambini ma, quando si mettono a suonare, sono tutti uguali e hanno la possibilità di creare qualcosa di comune, che fa star bene, apportando ognuno il proprio contributo. Imparano a stare insieme tessendo rapporti genuini, ad usare un linguaggio universale, a comunicare con qualsiasi persona del mondo contenuti positivi anche forti, ad avere speranza in un futuro diverso che abbia più opportunità. Discriminazioni sociali, impari opportunità sono presenti in tutto il mondo, da quello occidentale, ricco e benestante, a quello del terzo mondo con i suoi problemi economici e sociali. La musica insegna che queste cose sono sbagliate, lo insegna in America, in Africa, in Asia, dappertutto. Playing For Change opera in maniera potente, proprio a questo livello perché educa anche gli adulti. Vedere, anche solo su YouTube, musicisti da tutto il mondo ripresi in zone geografiche diverse, instilla una voglia di equality, di armonia, di pace: ispirano. Resta il fatto che non si può star bene quando delle persone stanno male. Playing For Change mi ha ispirato a riflettere su queste tematiche dando modo alla mia musica di avere un ruolo in questo senso. Ho sempre avuto l’urgenza di comunicare attraverso la musica come un qualcosa che mi facesse stare bene. Playing for Change mi ha portato ad un livello più ampio, in cu rendermi cosciente di contribuire, nel mio piccolo, ad un processo sociale. Ho conosciuto musicisti di tutto il mondo con cui ho condiviso tournée e relazioni di amicizia che mi hanno cambiato a livello personale oltre che artistico. E sono sempre più convinto che la musica possa operare cambiamenti a diversi livelli.

L’intervista con Roberto Luti mi commuove per il suo essere vero e aperto. Parla con lentezza, con il suo accento toscano, con le sue pause; è emozionante seguire il processo che lo porta ad esprimersi, come se entrasse nel territorio dove si originano i pensieri e li dovesse scovare, sapendo che sono già lì, pronti per essere colti alla fonte, in cui la radice della soggettività assume un sapore universale. È come se l’essenza della musica fosse anche la sua struttura mentale in cui l’onestà non è una virtù da perseguire quanto il fondamento stesso del pensiero. E ciò lo rende estremamente umano, costantemente connesso con il grande mistero da cui ogni vita umana non può prescindere. Ho la sensazione di non avere abbastanza watt nel mio faro per poter illuminare tutto il bello che c’è nelle sue parole e nel suo modo di esprimerle.

Lo contatto su Facebook e ci accordiamo per un’intervista via whatsapp. Gli scrivo a ridosso della mezzanotte e al mattino mi arriva la sua risposta.

D. Nella tua storia personale, è come se tu fossi stato richiamato altrove dalle misteriose forze energetiche di New Orleans. Lasciare il porto sicuro espone al rischio di perdersi. E spesso, invece, ci si ritrova. A te com’è andata? Bene mi sembra. Con la musica ovunque

E sorrido, pensando che la domanda sia scontata. Percepisco Roberto in una pienezza artistica e umana, dunque, sicuramente non si è perso, forse si è liberato, aprendosi a quella condizione di serenità creativa che Finardi ha chiamato “perdimento”. Eppure, non voglio rinunciare all’emozione di sentire il racconto dalla sua viva voce e seguire la sua traccia evolutiva per come se l’è vissuta. Apro i sensi della mia interiorità per coglierne gli elementi di stupore.

R. Attraverso questo rischio di esporsi ti conosci e ti trovi. È un po’ quello che è successo a me. È fondamentale lasciare il porto sicuro quando non sei soddisfatto e senti di voler cercare un nuovo senso. Prendere e partire ti porta a dover affrontare delle situazioni diverse dal consueto, a conoscere le tue capacità, i tuoi limiti, i tuoi gusti, impari a conoscerti. A me è andata cosi. A New Orleans c’è qualcosa di magnetico che mi ha richiamato. Ci sono stati vari messaggi, la cui interpretazione mi ha portato lì. Quando sono arrivato mi sono trovato. Ho avuto una sensazione di felicità, mi sentivo che stessi facendo quello che ero chiamato a fare. Le persone che ho incontrato, nella loro diversità, avevano in comune con me questa spinta. E non è una coincidenza. Nel 2008 ho dovuto lasciare New Orleans in modo brusco, perché clandestino, con il divieto di mettere piedi negli USA per 10 anni. Nel 2018 questo divieto si è sciolto e ho ripreso a tornarci. A volte penso di trasferirmici. C’è una parte di me che si sveglia, sboccia, fiorisce. Onestamente non mi sento completo fuori da New Orleans. Se da una parte è vero che dovunque vai ti porti dietro te stesso e quindi non puoi fuggire alle tue problematiche, tuttavia è vero anche che esistono dei luoghi compatibili. Come per esempio il baobab in certi Stati africani è rigoglioso in altri Stati del pianeta è un po’ più piccolo. Ognuno di noi ha un terreno che fa più al caso suo per affondare le radici. Trovare il posto giusto per potersi esprimere è importante. Questo vale anche per i flussi migratori. Non si può impedire a una persona di andarsi a trovare il luogo dove poter esprimere se stessa, dove radicarsi per evolvere nel modo più rigoglioso possibile. Per me, lasciare il luogo natale dove tutto è sicuro, ti affranca da quella dinamica in cui chi ti sta intorno, inconsciamente magari, vuole che non cambi, vuole che tu sia prevedibile, per poter fare affidamento su di te. Se questa cornice ti sta stretta, devi partire per abbatterla. In realtà è fragilissima perché, nel momento in cui parti, la cornice si sgretola e puoi ritrovarti.

D. Sarai sul palco di Trasimeno Blues per la seconda volta. Nel 2015 eri con i musicisti di Playing for Change, per un mitico concerto, ancora vivo nella memoria di chi ci è stato. Quest’anno sei con Luke Winslow King con cui hai una consolidata collaborazione. Cosa porterete?

R. In realtà è la quarta, se non la quinta volta. Tutte esperienze bellissime. Un anno con Elisabetta nel duo Betta&Luti abbiamo suonato sia sul battello, sia sul palco principale alla Rocca. E adesso sarò con Luke Winslow King. Trasimeno Blues è uno dei miei festival preferiti. In assoluto amo tutto, da Gianluca Di Maggio a tutto il team a cui lui si affida per realizzare il festival, collaboratori, fonici, aiutanti, amo la regione, le aree in cui si svolge, il cibo, i paesaggi, la programmazione musicale, i palchi, l’atmosfera, insomma è veramente un festival bellissimo. Amo anche che esista ormai da tantissimi anni. La collaborazione con Luke risale al 2008 e siamo amici da più di vent’anni. La nostra partnership musicale sta diventando sempre più profonda in un influenzarsi reciproco. La musica che scriviamo è sempre più bella, onestamente, e lo facciamo sempre più di frequente. Siamo passati dai primi anni in cui io ero il chitarrista di Luke Winslow King ad un prodotto musicale a due. Facciamo soprattutto musica originale di ispirazione ovviamente blues e anche folk, rock, country con influenze africane perché sono appassionato di queste sonorità dell’Africa occidentale. Presenteremo in anteprima qualche brano del prossimo disco che uscirà a primavera del 2024 di cui siamo orgogliosi. Io avrò la chitarra elettrica, Luke quella acustica e suonerà anche le percussioni. Proporremo anche brani dal disco precedente. Attingeremo alla produzione discografica di Luke, compreso il prossimo album e a diversi brani che sono stati co-scritti, in cui io ho portato la musica e Luke ha portato la parte lirica, il testo, le melodie e li abbiamo lavorati insieme.

Sarà un concerto strepitoso, lo sento. Quando musicisti come Luke Winslow King e Roberto Luti trascendono i confini della stessa musica, ascoltarli va ben oltre il mero piacere di un buon brano suonato a dovere, succede che le viscere, sedate dalla cultura dominante, si contraggono e muovono la coscienza. È come se Luke Winslow King e Roberto Luti siano consapevoli di questo processo e, come per magia, con quella stessa musica che ci ha agitati e messi in discussione, ci sanno accogliere e consolare. Hanno una sensibilità musicale particolare che si modula su diverse corde emotive e diversi intenti e una certa raffinatezza fa sì che questo agitarci dentro sia morbido e sostenibile. È come se loro fossero una centrale energetica che capta la voce della Terra; è come se, attraverso la loro musica, fosse la Terra stessa a suonare e a cantare. C’è un gioco di equilibri musicali nelle loro note che obnubilano la razionalità e connettono con dimensioni profonde, ancestrali, eppure assolutamente vive, presenti, attuali. Ciò mi emoziona particolarmente di questo duo. In particolare, in questo momento, ho in mente un loro lavoro, carico di simboli, che mi ha toccato molto: il video dedicato a Lissa Driscoll, compagna di viaggio artistico e umano. Un groove che ipnotizza e porta in quell’altrove che dà accesso a preziosità custodite nel profondo dell’anima, spesso sconosciute anche a se stessi. Oltre a raccontare con delicatissima eleganza il dolore della morte.

D. Rispetto a Lissa, che rapporto c’è tra il blues e la morte? E tu come ti collochi in questo rapporto?

R. Il brano è stato scritto dopo la sua morte da me e Luke Winslow King. Un brano toccante perché eravamo molto legati a Lissa. È stata la mia compagna e avevamo una band insieme. Luke era molto amico di Lissa, veniva sempre a casa nostra, a vederci suonare in giro e, quando sono stato arrestato e, dopo due mesi di carcere, rimpatriato come indesiderato negli USA, è diventato una presenza importante nella vita di Lissa. Siamo stati entrambi influenzati da lei non solo musicalmente. Per me il blues parla della vita di tutti i giorni. La morte ne fa parte. Il blues porta gli eventi della vita in musica e li fa evolvere. Quando viviamo situazioni che ci procurano dolore, angoscia, tristezza, solitudine, tradurre questo tipo di eventi in musica ci fa sentire meno soli, ci permette di affrontarli, se non addirittura di superarli. La musica ha il potere di connettere ciò che succede a te con categorie universali in cui riconoscersi è catartico sia se la si crea, sia se la si ascolta. In merito a Lissa, la morte non l’ha portata via: è presente. Le sue parole risuonano dentro, non tanto come memoria, soprattutto come se fosse ancora qua: anche se sono io che scelgo la strada, lei mi consegna la sua prospettiva che mi fa riflettere. Manca molto anche a Luke. È una sorta di ispiratrice, un’insegnante. Aveva punti di vista particolari. Proprio perché stiamo parlando della morte, mi viene in mente che lei sosteneva: “quando ti trovi in un locale, su un palco e nessuno ti considera, suona per i morti”, riferendosi ai musicisti che ti hanno ispirato: Mississippi John Hurt, Mississippi Fred McDowell, Howlin’ Wolf, che ora che son morti, possono ascoltarti. Al tempo capivo meno questo concetto molto bello, adesso lo capisco di più. Ha un effetto potente. Quando non c’è una connessione fra pubblico e musicista, suonare per musicisti morti spesso riesce a creare quella connessione che manca. Chiudi gli occhi, suoni per i morti. Spesso mi capita di suonare per Lissa. Come se fosse nel pubblico ad ascoltarmi. Non è una dedica, è una presenza.  Come se nel pubblico ci fossero un Mississippi Fred McDowell, Mississippi John Hurt, BB King, nel mio caso o, nel caso di Luke, una Lissa Driscoll. Ti estranei per connetterti ad un livello più aperto e si crea quella magia con il pubblico, quel dialogo che deriva dal fatto che hai indirizzato la tua musica ad un livello spirituale nel quale siamo tutti connessi.  

Due chitarre, una terra arida, piedi scalzi, due sedie, due microfoni e un mandorlo in fiore. Le note si appoggiano su un groove che si impone più delle variazioni a cui dovrebbe essere di sostegno. Il risultato è che questa struttura ritmica, uguale a se stessa, ha un effetto sciamanico, ti porta dentro, fuori, in ogni dove, per dirti la verità. Cioè che tutto ciò che succede in questo mondo ci riguarda direttamente e ci vede responsabili. Luke Winslow King e Roberto Luti sono fieramente disadattati, non scendono a compromessi con la cultura dell’indifferenza e credono che sia la musica quel “vento di cambiamento” che possa scompigliare i capelli al perbenismo sociale. La loro musica porta lontano. Non è un oblio, è un concedersi di avere dei pensieri e lasciarli fluire, così come le emozioni, E si posa sul ricordo incancellabile di Lissa Driscoll, stroncata dal cancro nel 2017. Suonano spesso all’aperto, per sottolineare simbolicamente che la musica è prossima a ognuno ed è il territorio privilegiato per alimentare il vento del cambiamento, in linea con la filosofia di Playing For Change, che crede nel potere della musica per rompere le barriere e le distanze tra le persone, creare messaggi positivi, connessi con il mondo intero. Il fatto che tutti siano artisti di strada ha un valore simbolico assonante con la prossimità alla gente. La musica esce dai luoghi protetti e commerciali per mischiarsi alle persone e dialogare per far emergere il sentire comune. L’aspetto più toccante è che Playing For Change dà la sensazione che essere uno per questa nostra umanità, così disorientata, sia possibile: riconoscersi come razza umana (citando Einstein).

D. Una parte dell’anima blues si compiace di un certo “buio della notte”, per usare il titolo del brano di Blind Willie Johnson che amo molto e che suoni spesso. Eppure nel tuo modo di suonare, anche con Luke Winsolw King, mi arriva una raffinata ricerca di semplicità (dimensione per me elevatissima) che consegnate con un forte potere evocativo. Così mi chiedo se ti è capitato di salire su un’altalena di recente? Il blues, secondo te, ha un potere esorcizzante sul dolore?

R.  Parto dalla semplicità stilistica. In un’espressione artistica c’è una poesia, un’anima che corrisponde all’essenza di ciò che si vuole esprimere. Per farla emergere bisogna togliere il sovrappiù.  La semplicità, in un certo senso, è il processo di emersione di un’essenza. Più vai a togliere più quell’anima viene fuori a fuoco, pura, nuda, più grande di te, includendo altri e assumendo contorni universali. E questo vale per tutte le forme d’arte. Ovviamente devi essere cosciente di ciò che occupa spazio affogando l’anima. Ci vuole il mezzo artistico, l’impegno, il talento, lo studio perché questa magia si compia in quella bellezza che ritroviamo in ogni forma d’arte che incarna ogni colore emotivo, vissuto, esperienza e che ha il potere di ispirare. Si tratta di aver provato sensazioni, di metterle in musica con l’idea di volerle guardare in faccia e di condividerle. Il blues è cosi: supporta l’umano vivere. Capita a tutti di attraversare un momento particolare, di gioia, di dolore, di cercare quel brano che ci accompagni, che ci accolga, che ci amplifichi. In “Dark was the night cold was the ground” per me c’è una sensazione scura, notturna e allo stesso tempo questa sensazione viene accolta in maniera pacifica, naturale, matura. Ti ci crogioli anche un po’ e questo magari ti aiuta a contenerla. Sono momenti che arrivano, si affrontano, aprono ad altre sensazioni, ritornano.

Quando Roberto Luti parla del processo creativo collegato alla semplicità nel senso più alto del termine, sono rapita e mi viene in mente Michelangelo e la sua convinzione che il David fosse già in quel blocco di marmo, aspettando solo che gli fosse tolto il marmo in eccesso. O Galeano che di questa ricerca dell’essenziale ne ha fatto la sua poetica principale. O Herns Duplan che allerta i suoi allievi a rendersi coscienti rispetto a ciò che costituisce gratuità nel processo artistico per eliminarla. “Pas de gratuité” ripeteva nei suoi stage di Expression Primitive, mentre artisti e persone di ogni dove, scoprivano l’estasi che un’anima nuda provoca in chi la incontra.

Una cosa è certa, il blues era nel destino di Roberto Luti. Era lì, a New Orleans, in anticipo, ad aspettarlo. “Quando ero bambino, prima che iniziassi a suonare la chitarra, mio padre mi portò al Pistoia Blues Festival, a sentire BB King. Rimasi elettrizzato da quel concerto che mi ha cambiato la vita. Tornai a casa e, la notte stessa, chiesi a mio padre di insegnarmi a suonare la chitarra. Durante il concerto, ero sulle spalle di mio padre, in prima fila. Ero piccolo. Ad un tratto, BB King si sporse dal palco e mio padre mi allungò verso di lui. Uno della sicurezza mi prese e mi allungò verso il palco e BB King, di sua mano, mi consegnò il plettro col quale stava suonando. A volte rifletto su questo episodio, quando si parla di suonare per i morti e immagino che BB King mi stia ascoltando è come se volessi renderlo orgoglioso di me, come se fossi cosciente che, ricevendo quel plettro, sia stato chiamato a suonare la chitarra assumendomi la responsabilità di onorarla. A volte nella musica succede di far cose che non ti senti addosso, che fai perché le devi fare ma non ne sei felice. Oppure ti calzano. Sto parlando di business. Questo tipo di presenza, mi orienta, mi aiuta a non tradirmi. Anche Lissa, o altre persone significative, mi influenzano in questo senso. Esattamente come quelle persone che sono in vita con cui si ha un legame speciale: i miei familiari, la mia compagna, gli amici, mio fratello, persone ispiranti, artisti di cui io sono innamorato non solo dal punto di visita musicale, anche come persone e li prendo come riferimenti.

Il concerto di Luke Winslow King e Roberto Luti, il 20 luglio alle 21,30 alla Rocca Medievale di Castiglion del Lago lo immagino come un appuntamento di cui non si possano prevedere gli effetti, a parte la certezza che si spalancheranno i cancelli dell’anima in una risonanza collettiva e, dopo questa intervista, ci arriverò predisposta. Me lo voglio godere, mi voglio lasciare sorprendere, mi voglio abbandonare ad un certo “perdimento” per ritrovarmi migliore. Perché la loro musica ha quest’effetto, ti connette con il sogno, quello che quando ti svegli ti accorgi che il cambiamento è già iniziato, prima di tutto dentro di te.    

(M.P.)

P.S.: Grazie a Lavinia e Lorenzo per essersi lasciati fotografare sull’altalena nel Lago di Piediluco alla Spiaggia Velino.