ESPLODE IL VENERDI’ BLUES AL TRASIMENO CON I CONCERTI DI LUKE WINSLOW KING E ROBERTO LUTI, DEI GA-20 ALLA ROCCA E DEI CYBORGS ALLA DARSENA DI CASTIGLION DEL LAGO

ESPLODE IL VENERDI’ BLUES AL TRASIMENO CON I CONCERTI DI LUKE WINSLOW KING E ROBERTO LUTI, DEI GA-20 ALLA ROCCA E DEI CYBORGS ALLA DARSENA DI CASTIGLION DEL LAGO

Ecco raccontata l’esperienza del mio primo concerto blues. L’esperienza di una diciottenne appena uscita dalla grande sfida dell’esame di maturità che cerca in Trasimeno Blues un po’ di libertà per poter riscontrare nell’atmosfera del festival ispirazione e mettere le ali a tutto ciò che ha appreso in questi anni passati sui libri al Liceo Classico di Ancona e nel proprio vissuto. Posso dirvi che ho trovato questo e molto altro. Partiamo con ordine per parlare del magico venerdì passato nella magnifica Rocca Medievale e nelle sfumature notturne della Darsena a Castiglion del Lago.

Luke Winslow king e Roberto Luti sono stati per me un vero e proprio viaggio interiore. Salgono sul palco e, con le chitarre in mano, prendono possesso delle loro postazioni, accordano le chitarre (quella acustica di Winslow e quella elettrica di Luti) e le note calde della loro musica si sintonizzano con la dimensione più intima dell’aria intorno. La prima cosa che ho notato è che Roberto Luti si avvicina a piedi scalzi, e ho pensato: libertà. Un genuino gesto di libertà e contatto con ciò che ci sorregge, senza mediazione. Quando parte il primo accordo di Roberto Luti, si materializza nel mio animo una porticina da cui poter sbirciare un intero universo, fatto di storie raccontante, di emozioni, di contatto intimo con i vissuti, consegnati al pubblico attraverso le categorie universali della musica. Poi Luke Winslow King comincia a cantare e io rimango incantata dal suo timbro di voce che avvolge il cuore, te lo strappa con delicatezza e lo trasporta in un un’altra dimensione. Dal primo brano vengo catapultata in una auto in corsa nel deserto, con i capelli al vento e paesaggi sconfinati: ancora libertà. La musica evolve in una climax musicale ascendete, molto potente e, con un cinematografico cambio di scena nei luoghi della mia immaginazione: mi ritrovo a ballare, a piedi nudi come Roberto Luti, sull’avvolgente scia che la voce del cantante e della sua chitarra acustica lascia come traccia da seguire, in perfetta sintonia con la musica della chitarra elettrica di Luti. Il viaggio musicale che abbiamo tutti intrapreso passa fluidamente da dimensioni energetiche a dimensioni malinconiche, egualmente potenti ed intime allo stesso tempo. La straordinaria bravura di Roberto Luti che, pur non interagendo vocalmente con il pubblico, con particolarissimi giri di note, dà la sensazione di un filo rosso originatosi dalla sua chitarra, che ti avvolge e ti tira a sé con lo stesso ritmo dei suoi accordi. L’apice di coinvolgimento emotivo credo si sia raggiunto con la canzone “Lissa song“, dopo la quale, totalmente incantata, mi sono guardata con le mie compagne di viaggio, sedute accanto, per notare che avevamo percepito tutte la stessa stravolgente intensità, lo stesso dolore, così pieno di dignità, lo stesso rapimento. Eravamo tutte con la bocca aperta, gli occhi lucidi e una mano appoggiata sul cuore: note e parole estremamente commoventi, in cui la parte strumentale assume uno spazio amplificato: l’interpretazione si abbandona ad un susseguirsi di note che sembrano conclusive del brano, a cui seguono, invece, ulteriori note che non ti aspettavi ci sarebbero state. Ecco allora l’immagine di un battito cardiaco di un cuore costretto a lasciare questo mondo, che continua a combattere con ogni forza in suo possesso, arranca per raggiungere il cuore dell’amore, il cui battito, a sua volta, riproduce il ritmo di un cuore teso tra la necessità di dire addio e l’inevitabile forza che, in qualche modo, lo riporta sempre in territori di nostalgia. Ripenso ad Ivonne, presenza storica del festival di cui ne ha documentato la storia con le sue foto e i suoi video che, quando ci siamo incontrate, senza mezzi termini ci ha consegnato il suo dramma: “Sto morendo. Ho un cancro”. Non sai come sorreggere tutto questo dolore e il duo in concerto ti dà una mano. Ripresi un attimo dal brano precedente, dopo averci lasciato sospesi in un silenzio necessario ad accogliere la profondità emotiva in cui ci hanno condotto, Luke Winsolw King, con la sua voce avvolgente, la sua chitarra acustica parlante, il suo tamburello spumeggiante e Roberto Luti, con la sua ammaliante chitarra elettrica, concludono il viaggio musicale con una potenza incredibilmente creativa: un finale ad effetto caratterizzato da questa climax ascendete di fortissima complicità con tutto un susseguirsi di commistioni sonore e ritmiche sparate fuori dalle due chitarre che sembrano fondersi tra loro in un’esplosiva sintonia. Immagine che ha raccontato a tutti noi il loro rapporto di amicizia oltre che di collaborazione, facendoci percepire il loro incontro a New Orleans a cui non possiamo non attribuire una valenza magica. Due grandi artisti, la cui unione, perfettamente equilibrata, ha reso emozionante la capacità narrativa che hanno espresso in ogni singola azione espressiva ed interpretativa sul palco: due artisti realmente connessi con ciò che li riguarda di assolutamente privato in un afflato comunicativo di condivisione con il pubblico raccontandosi in modo nudo, scarno, profondo e autenticamente aperto.

Con sensazioni completamente diverse, travolgenti come una forza della natura, ed egualmente magiche, seguo il secondo concerto in programmazione per questo esplosivo venerdì blues: sul palco arrivano i GA-20 e infuocano il palco con la loro musica decostruttiva, impetuosa e trascinante che, se fosse pittura, collocherei quasi tra cubismo e futurismo: il blues di questa strepitosa band americana è scomposto e ricomposto continuamente, per creare qualcosa di innovativo ed esplosivo. Ad una base di blues si sovrappongono frammenti di punk, di rock’n roll e di musica elettrica. Quando attaccano, imponendosi sulla scena, con il loro energico blues e il loro carisma coinvolgente, penso a quanto questo concerto sarebbe piaciuto ai miei coetanei, alla mia generazione, con tutta quella rabbia interiore che abbiamo e che troverebbe sicuramente nella musica blues comprensione e quella valvola di sfogo fondamentale. Mi chiedo come mai tra il pubblico ci siano pochi adolescenti. Peccato. Anche la potenza musicale dei GA-20, attira a sé, con corde vibrazionali completamente diverse dal concerto precedente. A differenza del filo rosso su cui ci siamo mossi nelle sonorità di Luti e Winslow, la band americana sprigiona una forza che ti scaraventa indietro, facendoti cadere dalla sedia, liberando quella volontà di potenza nietzschiana che ci permette di risalire controcorrente con le unghie e con i denti per raggiungere la loro stessa lunghezza d’onda. Difatti l’ho vissuta come una musica che, ascoltata da seduti, non si può apprezzare appieno, va afferrata, con grinta, con tutto il corpo, non solo con le orecchie. Non sono l’unica a percepire questo: in molti sentiamo l’esigenza di scendere dalla propria postazione per ritrovarci tutti insieme a muoverci, a ballare a suon di vibrazioni, sotto il palco. Un concerto creativo, energico, con forte potere comunicativo, provocatorio e anche divertente, con i componenti della band che spesso ci strappano una risata. Un concerto le cui “vibes” si possono riassumere nel loro slogan “If you don’t like the blues, you’re listening to the wrong shit“!

I concerti alla Rocca si concludono con l’energia deflagrante dei GA-20 che lasciano accesa la voglia di musica. Ci spostiamo nel particolarissimo locale della Darsena in cui convivono angoli romantici e atmosfere underground. Una parte del locale si sviluppa fino in riva al lago, arredata con divani a terra, tavolini, poltrone, cuscini, e una pedana di legno che protende sull’acqua, appoggiandosi sui sassi che delimitano il confine tra la terra e il lago. Un’atmosfera romantica, sussurrata, intima e malinconica, con le stelle del cielo che si specchiano nelle candele sparse ovunque, con le luci dei paesi adagiati in lontananza sulla riva opposta del lago e con i riflessi dell’acqua che luccicano. “Nonostante non ci sia nessuna siepe, mi sento nell’infinito di Leopardi, davanti a questo panorama” dice qualcuna di noi. Ed effettivamente, viene voglia di abbandonarsi a “quel dolce naufragar”, ispirato dall’immensità degli spazi del lago Trasimeno, amplificata dalla luce tenue della notte. Sul proscenio della pedana della Darsena, con Mariella, abbiamo condiviso un rituale che facesse arrivare alla sua mamma, i nostri auguri di buon compleanno e quella struggente commozione che si prova quando qualcuno che amiamo ha lasciato questa terra. Lo spazio dedicato ai concerti riporta a contesti di periferia industriale con contorni street, fumosi e dark che richiamano l’emarginazione del blues.

Per quanto riguarda il concerto alla Darsena, ci troviamo avvolti in un’atmosfera surreale, futuristica con i Cyborgs, un duo alternativo che gioca sul raccontare la propria identità interiore attraverso la musica, coprendo i volti con inquietanti maschere da saldatori. Forse che, indossando loro stessi una maschera, riescano ad affrancarsi dalle maschere imposte dalla società? È un messaggio forte, sempre vivo e sempre attuale che ha interrogato, e continua a interrogare, l’umanità nel susseguirsi dei secoli. I Cyborgs, pur proseguendo lo stile energico, provocatorio e coinvolgente dei GA-20, hanno un taglio underground penetrante. È il loro animo ribelle ad aver suscitato in me queste sensazioni e queste riflessioni.

La serata blues del festival si è addentrata in mille pieghe differenti, in sfaccettature dello stesso emozionante prisma, perché il blues si connette alla vita e, citando Nietzsche, “offre alle passioni di poter gioire di loro stesse”.

(Elisabetta Tinarelli)