UN CONCERTO TUTTO BLU E ORO PER RITROVARE LE RADICI DEL BLUES NELLA MUSICA DI NICK BECATTINI BAND E TY LEBLANC

UN CONCERTO TUTTO BLU E ORO PER RITROVARE LE RADICI DEL BLUES NELLA MUSICA DI NICK BECATTINI BAND E TY LEBLANC

Mi alzo presto in vista della partenza per l’Umbria, contrariamente alle mie abitudini. Mi aspettano quasi 500 km di strada per la terza anteprima fuori porta di Trasimeno Blues Festival: il concerto di Nick Becattini band con Ty Leblanc, special guest della serata. E li sto aspettando, perché è uno di quei concerti in cui bisogna esserci. Devo dire che alzarsi presto non è male. L’aria è più vivida, così come i colori e c’è silenzio. Per arrivare a Panicale si sale! Si sale lungo una strada tortuosa che, oggi, mi fa pensare a quando nella vita, qualcosa va storto, talmente storto che ti toglie ogni riferimento a partire dall’identità. E non sai proprio dove ancorare la speranza. Eppure sai che sei vivo e non capisci bene se è una cosa buona o una condanna. Non sai più che pensare, non sai più nulla. Tutto è in discussione, precario, appeso a un filo. Poi, a pochi chilometri dal paese, quando meno te l’aspetti, la strada si apre e lascia senza fiato per il panorama strabiliante. Ti rendi conto che stai viaggiando sul crinale di una collina che, da un lato, apre lo spazio verso l’incanto del lago Trasimeno e, dall’altro, sulla valle del Nestore. Non sai dove guardare, resti attonito. Rallenti. Lasci che tali immagini a sorpresa, ti riempiano gli occhi e l’anima. E lo senti. Quando raggiungi il borgo e parcheggi ti accorgi che scendi dalla macchina che sei più alto e più leggero, con un’energia di gratitudine che ti abita. Il piccolo paese, in pietra, è raccolto in un ovale che si compone di ellissi concentriche attorno alle piazze principali.  Il parco Regina Margherita, sinuoso anch’esso, si sviluppa a ridosso del centro storico con arbusti, alberi ad alto fusto, ulivi e un fico gigante che domina dall’alto: sono i custodi del parco, radicati e fiduciosi. Pare abbiano ricevuto tale investitura direttamente da Dio. Sembra che questo luogo, così sincero (dalla strada, al borgo, al panorama, al parco, al sorprendere), stesse già raccontando la musica di Nick Becattini band e Ty Leblanc che mi hanno letteralmente incantato e commosso per l’essenza saldamente blues e il coraggio di essere. La loro musica non è solo blues, è proprio blues: nel groove, nei riff, nelle note e in quella malinconica voglia di vita. Per Victor Hugo “la malinconia è la gioia di sentirsi tristi”, un ossimoro che sa di blues. In effetti nel repertorio del concerto, i brani sono stati un’immersione emotiva, piena di energia e grinta che ha permesso agli opposti di toccarsi, di provocarsi, di consolarsi, di arrabbiarsi, di arrendersi per crederci ancora. La gioia, l’amore, l’allegria hanno danzato con quel fondo incerto del cuore umano, così smarrito e così struggente. Nick Becattini ieri sera ha espresso il suo blues, ha lasciato che la sua anima abitasse le note della sua chitarra, della sua voce, in un’atmosfera intrisa di groove, con verità e dignità, condividendo il palco con Ty Leblanc, “una meraviglia della natura”, come lui stesso l’ha definita, trovando riscontro in tutto il pubblico, accompagnati da una band strepitosa. In Ty convivono due aspetti di solito incompatibili: una sofisticata raffinatezza (sia nel calcare il palco, sia nell’interpretazione musicale e artistica) e una grande capacità comunicativa fatta di semplicità, familiarità, accoglienza, creando un forte impatto di coinvolgimento nel pubblico.

Quando nel pomeriggio entro nel parco (che si sviluppa lungo il pendio del crinale), percorrendo il sentiero per raggiungere l’anfiteatro all’aperto, ho la suggestiva sensazione di camminare su balle di paglia. Il prato, infatti, dopo essere stato tagliato, si è trasformato in “fieno”, indossando il suo dorato abito estivo che la stagione, le alte temperature e la doverosa parsimonia nel consumo di acqua, gli hanno imposto. Cosi la location è rivestita di oro, come il vestito e i lunghi capelli di Ty e come il cuore di Nick. Entrambi hanno un’anima blu, simile al fondo del mare, dove si agitano le correnti senza increspare la superficie. Nick ha un sorriso aperto, uno sguardo leale, un corpo prigioniero della SLA e un cuore che batte blues dalla prima infanzia. La band, tecnicamente e musicalmente eccezionale, con alle spalle collaborazioni di rilievo, ha grande personalità, dotata di forti individualità che non si sovrastano, nette nei reciproci confini; si concede con altrettanta generosità e coraggio per un concerto tutto blu e oro. Carmine Bloisi è un batterista storico del panorama musicale italiano; tra le varie collaborazioni, ha suonato con Rudy Rotta (stimatissimo bluesman) ed è dotato di una contagiosa ironia che si riversa anche nel suo modo di suonare, mordace, vitale e schietto. Keki Andrei suona l’organo Hammond (il Leslie, pesantissimo e rarissimo, che a Trasimeno Blues pare sia di casa) e la tastiera come se fossero amici fraterni di vecchissima data a cui poter chiedere di tutto; sembra che voli sui tasti. Andrea Cozzani, il bassista, sembra porti nelle sue note, lo spleen baudelairiano e l’incapacità di essere superficiale, sottolineando la dimensione emotiva dei brani con delicata passione. “Noi siamo il bello, il brutto e il cattivo, però siamo inseparabili”. Scopro così che suonano insieme da tanti anni e sono insieme anche adesso per questo recente progetto con Nick Becattini. Il corista è Andrea Ranfagni, detto Ranfa, fiorentino, e si armonizza totalmente con le voci calda e suadente di Ty Leblanc e sempre più black di Nick Becattini.

Il palco è ai piedi dei gradoni (a semicerchio) che gradualmente si riempiono di appassionati di blues e di turisti. Alle spalle del palco, un baretto e uno spazio per consumare cibo e bevande, arredato con tavoli da sagra, su cui sono posizionate romantiche candele, fanno da distante scenografia sullo sfondo. Anna, 10 anni, la mascotte del festival, socievole e simpatica come un prato di margherite, mi spiega che si possono ordinare taglieri con affettati e formaggi locali, piadine e bibite fresche e mi dice che questo parco le piace molto.  

Arrivo durante le prove mentre stanno suonando una loro versione di “It’s a Man’s world” di James Brown e non so se abbiano istruito le cicale prima del mio arrivo, fatto sta che sono accordate a ritmo di shake con la band. Sui corpi di tutti, le tracce di una giornata torrida che trova ristoro a cena. Entro nel centro storico dalla porta Perugina, una delle tre porte della città che, oltre ad essere (con la porta Fiorentina) una delle due porte importanti, segna anche il passaggio tra il tempo presente e il perdersi senza tempo per i diversi secoli che si sono avvicendati in questo territorio, perfettamente conservato, con la piazza che sembra un salotto e i muri delle case intorno, le sue pareti. Si ha la sensazione di essere in una duplice dimensione, quella dell’origine e quella del presente, esattamente come succede con la musica di Nick Becattini band e Ty Leblanc. È come se nel loro modo di suonare e nella loro musica ci sia, intatto, il senso profondo delle origini del blues fuso con la capacità di reinterpretarlo oggi, ricchi di esperienza tecnica e artistica, pieni di creatività coraggiosa e di sincerità, sia per i brani storici, sia per le loro composizioni. Il risultato è appassionante e avvincente.

A cena, con tutta la band ci sono anche Arianna Fiandrini e Mauro Magrini (conduttrice e attrice lei, regista e musicista lui ed entrambi fotografi e video maker, oltre ad essere un riferimento prezioso per la documentazione del festival e non solo). Tra una pietanza e l’altra, si parla del più e del meno: da quante ore di sonno servono per stare bene (e qui il panorama di risposte è variegato), alle pietanze preferite, al viaggio che li ha divisi tra aria condizionata si e aria condizionata no, alla levataccia prevista per l’indomani, a un aereo da prendere all’alba per Ty, agli album preferiti, al senso o meno di porsi domande, all’incapacità di trovare risposte che resistano al passaggio del tempo e degli eventi che ci succedono, alle Becattini girls nel periodo varesotto dell’artista, ai tempi stretti in vista del concerto e la doccia ancora da fare, agli ultimi ritocchi della scaletta. Mauro non trattiene la sua ammirazione per la musica di Becattini (condivisa da tutti noi) ed esprime le emozioni suscitate dall’album “Nick & Peaches, Live at Blue Sun” del 2000. Nick racconta le peculiarità di registrazione dell’album tra Varese e Firenze. Si chiamano in causa Eric Clapton, Big Bill Broonzy, Robert Johnson, la potente empatia che il loro linguaggio ritmico è riuscito ad attivare e ci si chiede chi siamo; se siamo anima. Si discute sul senso della vita e sull’incapacità di riuscire a dare una risposta. Nick, con il candore di chi non sa mentire, con il suo accento toscano, che veste di leggerezza anche i pensieri più provocatori, confessa di non averci capito nulla: “Oggi sei vivo? Va bene! Oggi vivi. Domani? Sei vivo? Non lo so. Sono in grado di suonare oggi? Forse ce la fo’! Domani? Non lo so; te lo dico domani.” Si investe tutta una vita a tessere tele di sogni e non ci si accorge che sono come le ragnatele dei ragni, splendide e fragilissime. Così siamo noi. Mi torna in mente il tempo della giovinezza e quella presuntuosa, vana convinzione di capire tutto della vita, di cui potrei anche vergognarmi. Le parole di Nick mi fanno tornare in mente il monologo di Morgan Freeman nel film “Le ali della libertà”, quando per l’ennesima volta chiede di essere riabilitato. Dopo aver vissuto la relazione di amicizia con Andy (il protagonista del film) e la sua fuga dal carcere, quando la commissione, linda e pinta, gli chiede se si sente riabilitato, risponde: “Riabilitato? Mi lasci pensare. A dire il vero non so cosa significa questa parola. Per me è una parola vuota”. Parlando con Nick, mi sono sentita un po’ come quelli della commissione: ero lì, di fronte ad un artista e ad una persona eccezionale ed ero inconsapevole della distanza che le parole possono mettere tra noi e il cuore, tra noi e il Mistero in cui tutti siamo immersi e che nessuno può dipanare, solo il silenzio, forse. Non resta che affidarci e vivere.

Nick riporta il focus sulla musica, non sul contorno, non sulle opinioni degli artisti, su come si vestono, sulle parole tanto per. Per Nick la musica si ascolta, si vive. Punto. “Sono un chitarrista elettrico e questo è già grave. Suono blues perché è una musica che avvicina alla natura, all’anima, perché racconta di rapporti diretti, immediati. Tutto il resto serve a raccontarsela.” Quando suona e quando canta, Nick lo fa “con sincerità”, con tutto se stesso. La sua energia esplosiva arriva al pubblico anche ora, quando non può saltare, quando non può contare su tutte le dita per far vibrare le corde della sua chitarra magica, quando il blues non lo suona solo, lo vive; trasmette senza equivoci il principio vitale del blues reso inedito dalla sua sensibilità musicale. È uno tosto Nick, nel senso più bello della parola. Nella presentazione, Gianluca Di Maggio ne sottolinea i traguardi, dai 35 anni di carriera, alle incisioni di oltre 40 album: “Ha dato tantissimo alla storia del blues in Italia e anche alla storia del festival del Trasimeno, partecipando a diverse edizioni e portando diversi progetti oltre ad aver sempre entusiasmato le piazze che lo hanno visto protagonista”. E questa sera c’è anche “la voce di Ty Leblanc, una cantante afroamericana che da diversi anni collabora con Nick”. Una collaborazione “iniziata con l’incisione dell’album ‘Leblanc’ nel 2011, prodotto da Trasimeno Blues e registrato presso lo studio Rokkaforte di Castiglion del Lago”. Il concerto inizia con Nick e la band. L’interpretazione ha grinta già dal primo brano, “My mouse”, composto dallo stesso Becattini. Già dal secondo pezzo Nick chiama in causa il pubblico e lo incita a tenere la pulsazione con le mani. Tra un brano e l’altro racconta dettagli di un suo vissuto musicale, si rivolge al pubblico della piccionaia, seduto in cima ai gradoni o addirittura svettando in piedi sull’anfiteatro: “Siete belli lassù”. Si confronta col pubblico sul caldo che non fa dormire, per poi portarlo musicalmente “in Lousiana, dove fa ancora più caldo”. E non dimentica mai di ricordare la band,come a sottolinearne la pariteticità. “Serious Boogie”, straordinario brano scritto da Nick, segna il confine tra la parte della Band e la parte con Ty Leblanc. Infatti, Ty arriva sul palco che hanno già suonato diversi pezzi del repertorio, in un’atmosfera inconfondibilmente blues, light motiv di tutta la serata, alternando brani ritmati a brani dolci, struggenti. I refrain delle canzoni, spesso, mi arrivano come una sorta di domanda di cui non si conosce la risposta. Nick è incredibile e generoso nel suonare e nel cantare e la band è strepitosa. Le chiusure, le aperture sono piene di maestria, coerenti, così come gli assoli strumentali. I brani sono pieni di sorprese, strumentali ed interpretative. I musicisti creano cambi netti, a tratti spigolosi, pieni di suspense nei passaggi tra ritmo e melodia, nelle diverse frasi musicali, nelle introduzioni, nelle chiusure. La scelta di lasciare spazio ai singoli strumenti, non solo come assolo, ma come frasi musicali è molto poetica.

Ero un ragazzino, si parla di più di 40 anni fa, ascoltavo Lightnin Hopkins, ci sono cresciuto. Qualcuno di voi ascolta Lightnin Hopkins? Lo ascolta ancora?” Qualche mano si leva dal pubblico, i privilegiati che potranno condividere profondamente il sentire di Nick. “Lui suonava questo brano che a me faceva impazzire e ora ho riscoperto la verità del blues”. Sulle note di “Trouble in mind” tutta la zona di Panicale resta senza luce per qualche secondo. Si è spento tutto. Il concerto riprende dopo una brevissima interruzione. Mi piace pensare che le note della Becattini band abbiano travolto le centrali elettriche, i cavi, le lampadine e che abbiano voluto creare un black out per omaggiare la buona musica e chi la fa. Oppure questo omaggio lo hanno voluto fare le stelle, che volevano esserci e si sono rese visibili per qualche secondo, grazie al black out o hanno voluto creare un effetto speciale per introdurre la stella della serata: Ty Leblanc che sale sul palco dopo poco. Entra in scena come un sole (e non solo perché indossa un lungo abito giallo) illuminando i musicisti, gli strumenti, il parco e noi, il pubblico già caldo. Parla subito con gli spettatori, con Nick, con gli strumenti, condivide le sue sensazioni, le sue emozioni e, quando inizia a cantare, la sua voce, calda e sensuale si spande dappertutto, come se avesse mille rivoli da percorrere nell’etere. Si esprime in italiano (solo alcune frasi in inglese). Trasforma il palco e l’anfiteatro in un salotto in cui si ritrovano vecchi amici, senza filtri, a proprio agio, al sicuro, nell’amore. Chiarisce subito che “la vita va a onde”. Il blues è in tutto il suo corpo, nelle spalle, nel bacino, nelle ginocchia, sui fianchi, nella schiena. Tutto di lei dice: “Io ci sono” e naturalmente il pubblico risponde “Anche noi!”. Si, perché bisogna esserci, per vivere. Spesso piega le ginocchia come a voler entrare nella terra ad essere un tutt’uno con le radici. Connessa, sinuosa, consapevole, generosa, vera. Non c’è esibizionismo in Ty, c’è l’assunzione di responsabilità di donarsi completamente, con amore e generosità. “La natura e la musica sono verità” mi ha detto in una chiacchierata a fine concerto e devo dire che riconosco questa frase in Ty. La sua energia è in totale risonanza con quella di Nick che, nonostante la parziale immobilità, arriva dritto al cuore, senza passare dal via. Alla fine l’anima non si accorge della differenza: se sei malato o no, se sei bello o no. Resta per lui il moto interiore di un’identità a scadenza da ricostruire, che sarà un viaggio nel viaggio, in cui la musica non può mancare.

Molti brani in scaletta sono tratti dal loro album “Leblanc” prodotto in Umbria. Il pubblico è in estasi. E l’energia esplode quando suonano “Stand by me” che sembra la canzone di tutti, anche perché Ty un pezzo lo canta in italiano. Cantano tutti, pubblico compreso che tiene il ritmo con le mani e balla. Su questo brano la band gioca, alterando il ritmo, rallentando, velocizzando, ripristinando. Una versione originale di un cult. Poi Ty riporta all’intimità, si racconta: “Ascoltatemi bene: l’amore è una cosa complicata e non è facile. Ricordo di una volta che ho visto il mio uomo con un’altra donna. Lo so che cosa ho visto ma lui ha negato, giustificandosi che lei non era nessuno. Ma lei non è nessuno. Non devi vederli baciarsi per sapere che c’è qualcosa che non va. Abbiamo passato tre anni così vicini che non sono riuscita a lasciarlo. L’ho amato. E questa è la mia storia”.  Nell’interpretazione da brivido di questo brano, Ty trasmette tutta la disperazione che si prova di fronte a un tradimento, tutto lo sbigottimento di chi non si capacita che tutto l’amore che prova per chi ama possa essere sprecato, mentre il balsamo di guarigione che il tempo sparge su ogni dolore è ancora lontano. E così, i suoni, le note, le voci, gli strumenti diventano un grido in cui tutti si riconoscono, rappresentativo della dimensione in cui l’umanità si riconosce: il sentire. Il sound blues è l’anima di questo concerto, tutta da vivere. Un papà, pieno di emozione, racconta a Nick che la figlia gli ha chiesto di farle conoscere il blues e lui le porterà i cd che ha comprato al concerto di stasera. Alla fine del concerto, tutto di tutti è blues. Il pubblico chiede il bis, timidamente. “Se ne volete ancora, fatevi sentire, fatevi sentire, fatevi sentire”. E il pubblico si fa sentire per accogliere e ripristinare la forza della vita che scorre, oltre noi, malgrado noi. E si corrobora con le note di “Chain of fools” di Aretha Franklin. I ringraziamenti di Nick per Gianluca Di Maggio, direttore del festival, che ha fortemente voluto questo concerto (e gli siamo tutti grati), per i fonici, i tecnici, per noi, il pubblico (che è l’altra metà della musica) e la buonanotte sono il viatico per tornare a casa, pieni di musica, pieni di blues.

(M.P.)

2 Risposte a “UN CONCERTO TUTTO BLU E ORO PER RITROVARE LE RADICI DEL BLUES NELLA MUSICA DI NICK BECATTINI BAND E TY LEBLANC”

  1. Quando le parole sono musicali e risuonano di anima, di soul… allora hai la nitida percezione di sentire, sentire dentro nel profondo quello che leggi…
    E non stai solo leggendo ma stai ascoltando, stai vedendo, stai vibrando…
    Tutto,proprio tutto, ogni dettaglio, ogni particolare arriva giù profondo per rimanere e trasformarsi in energia positiva per chi c’era e per chi non c’era…
    Grazie Meri per aver saputo tradurre in parole le emozioni e grazie Trasimeno Blues per aver ispirato tutto questo….

  2. Lascia senza fiato questa poetica atmosfera e non vorresti mai smettere di leggere.
    Che leggere è già una stretta in un abbraccio tra uomini, anime, mondi, luna e stelle.
    E tu senti di essere parte di tutto, e come la musica avvolge, così tu ti lasci afferrare per un sogno possibile.
    Mery non appuntare il tuo nome ma scrivilo intero e fallo volare sul mondo che da Nickl a Ty da Panicale fino a molto lontano ci tiene tutti uniti. Nell’amore e nel blues.

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