Castiglion del Lago è più viva che mai il 23 luglio 2022 nella penultima giornata del Trasimeno
Blues Festival dell’edizione 2022. Le sue strade, le sue piazze brulicano di persone, perlopiù spensierate, con un’aria vacanziera che mette di buonumore e accende la voglia di musica. Piazza Mazzini è piena: le persone stanno trovando ristoro nei locali lungo il suo perimetro, attrezzati, nella stagione estiva, con tavolini all’aperto, mentre i previdenti sono già seduti nella platea creata ad hoc tra il palco e la fontana centrale, in attesa del concerto di Lebron Johnson e la Band di Andy Pitt. Li abbiamo già ascoltati in una delle anteprime di Trasimeno Blues, il 17 giugno alla Cantina di Monte Vibiano a Mercatello di Marsciano e ci avevano conquistato. Infatti, non sono pochi coloro che sono tornati per godersi, ancora una volta, un loro concerto (me compresa) e per ritrovare un modo di fare musica che mette insieme la voce ricercata e suadente del giovanissimo Lebron Johnson (classe 1998) e la grinta di Andy Pitt e la sua Band. Li ritroviamo tutti: Alberto Pavesi alla batteria, Paolo Mazzardi all’organo Hammond con il Leslie, Davide Medicina al basso e, ovviamente, Andy Pitt alla chitarra. Il progetto che stanno portando avanti, di mettere insieme il Blues con il New Soul, funziona e conquista il pubblico. Il concerto, diviso in due parti, la prima prevista dalle 18,30 alle 20 e la seconda dopo cena, è coinvolgente, intenso, madido di groove e di creatività. Come sempre, il loro repertorio prevede brani cover scelti con cura e brani inediti scritti prevalentemente da Lebron Johnson e Andy Pitt. Ed ecco che brani storici di Marvin Gaye, Black Pumas, Tom Misch, ritrovano nuova freschezza in arrangiamenti contemporanei che confluiscono in sonorità Soul.
Nonostante provengano da città diverse (tutte del nord Italia) e i momenti per provare siano diradati, hanno maturato un grandissimo ascolto reciproco e la voglia di divertirsi suonando. Ogni elemento della band è pronto a reagire a un segnale, a una iniziativa, a un impulso creativo. Ed è soprattutto Alberto (uno dei migliori batteristi del panorama musicale italiano, un vero talento che ha suonato con Gloria Gaynor e Fabio Concato, per citarne alcuni) a giocare più di ogni altro questo ruolo: ha la capacità di catalizzare l’attenzione e dare impulsi che immediatamente la band recepisce all’unisono e trasforma in evoluzioni interpretative che sorprendono e catturano. È impossibile annoiarsi ad un loro concerto anche perché viene dato grande spazio all’improvvisazione che abbatte la quarta parete, per cui musicisti e pubblico si ritrovano in un’emozione comune. La base ritmica per il blues è fondamentale. Davide Medicina fa suonare le armonie pizzicando con leggerezza e intensità le corde del suo basso e alleggerisce la solidità della batteria. “Grazie per tutte le emozioni che ci avete dato. Grazie veramente” irrompe con spontaneità una signora alla fine della prima parte del concerto. C’è un’intesa tra tutti i musicisti, una prontezza reattiva che crea effetti a sorpresa, intuiti, immediatamente compresi e agiti musicalmente, creando un’atmosfera che tiene incollati. E la musica diventa energia. Piazza Mazzini sembra trasformata in un grande salotto a cielo aperto, suggestiva, con la sua forma rettangolare e raccolta, la fontana, i locali, la platea e l’apertura sul corso principale di Castiglione. Il concerto inizia con un rythm&blues strumentale, proseguendo con brani di Lebron Johnson e Andy Pitt per finire con diverse cover di brani blues e soul molto particolari, tra cui “Little Ghetto Boy”, brano struggente di Donny Hathaway. La prima parte del concerto chiude dieci minuti in anticipo per permettere alla VisualCam di allestire un set cinematografico e girare delle scene da inserire in un cortometraggio dal titolo “La ballata del Trasimeno”, in produzione proprio nei giorni del festival, con la regia di Mauro Magrini, la sceneggiatura di Arianna Fiandrini e Mirko Revoyera (anche attore nel progetto) e con Massimiliano Varrese come attore protagonista. Dopo pochi minuti, i musicisti riprendono a suonare e l’atmosfera del concerto si arricchisce di toni cinematografici: la macchina da presa, gli attori, i tecnici, sembrano messi lì come una vivente scenografia blues, in una sorta di happening, mentre la band dà il meglio di sé, regalando emozioni in musica per un’altra ventina di minuti pieni di energia. La musica della band si sparge per la piazza, per le vie, richiamando le persone come un “pifferaio magico” e tra le note, scintilla l’allegria di ritrovarsi insieme, anche a ballare, perché il blues, non è solo musica, è anche riconoscersi nelle comuni pieghe della vita e condividere il pensiero che la musica ha il potere di rendere la vita più bella. Dopo cena, alle 22 partono col secondo set (che non ho potuto seguire per precipitarmi al concerto delle 21.30 alla Rocca) e i commenti che mi sono arrivati raccontano che la Band sia letteralmente esplosa. Nonostante in contemporanea ci fosse l’attesissimo concerto di Seun Kuti & Egypt 80 (che ha registrato un sold out), la partecipazione del pubblico è stata numerosissima: “C’era un sacco di gente e quando c’è la gente che partecipa così, monta l’energia” confermano Paolo Mazzardi e Lebron Johnson nel nostro incontro notturno a “Le Macerine”, l’albergo in cui ho soggiornato per tutta la settimana del festival. Peccato che non abbia potuto goderne appieno, con la sua vista rilassante sul Lago Trasimeno, immerso in un giardino molto ben curato, avvolto dalla campagna circostante, dotato di alberi da frutto, piante e una piscina al bordo del patio arredato in cui poter fare colazione. Che momento quello della colazione, in cui mangiare di tutto prima di carburare, in cui ritrovarsi. È a colazione che ho scoperto la passione di Andy Pitt per Samantha Cristoforetti che condivido con grande emozione. Ci entusiasmiamo quando mi mostra l’applicazione che gli permette di monitorare la traiettoria della base spaziale. In un attimo viaggio con l’immaginazione, ipotizzando un progetto musicale che selezioni e arrangi i brani ispirati allo spazio, da Frank Sinatra ai Beatles a David Bowie (e chi più ne ha più ne metta) per un concerto a tema targato Lebron Johnson ed Andy Pitt Band. Intanto ci facciamo un selfie da mandarle. “Siamo, non dico esterrefatti, ma quantomeno colpiti, da come ci siam trovati a livello musicale. Siamo noi i primi ad essere stupiti dell’interplay che c’è tra di noi. Siamo tutti musicisti navigati, abbiamo suonato con grandi artisti eppure c’è qualcosa di più tra noi” rivela Paolo Mazzardi e, infatti, quando suonano insieme, la forte intesa, li rende un tutt’uno al servizio della musica. La loro immediatezza e la loro grintosa freschezza fanno spuntare, nei cuori del pubblico, fiori d’affetto. È una band a cui si vuole bene. Lebron Johnson sembra nato per fare questo mestiere; ha un modo di essere sul palco e di cantare che è un’inclinazione naturale: o uno ce l’ha o non ce l’ha. “Come fa, uno che viene dall’Africa ad avere dentro il blues e il soul che non appartengono alla sua cultura: “Venisse dagli Stati Uniti, potrei capire!”, provoca Paolo Mazzardi, suscitando l’ilarità di Lebron e, in questo incontro notturno fuori programma, ho modo di conoscerli al di fuori del contesto “ufficiale”. Ci siamo ritrovati alle tre di notte in albergo e la buonanotte si è allungata in due chiacchiere informali e una tisana. Johnson ride, con un po’ di timidezza e un pizzico di compiacimento. Approfitto per sfoderare una domanda al tastierista: “Oggi eravate tutti connessi e mi è sembrato che ti sia concesso una presenza sottile e convergente, totalmente amalgamata con il sound di tutti gli strumenti. Come ti sei percepito?” Paolo si entusiasma e risponde di getto: “Ho sentito la musica sulla pelle. Sentivo proprio l’emozione, mi sembrava di essere tutt’uno, ero fuso e vedevo che tutto funzionava. E poi quando ti rendi conto che tutto quello che fai funziona, che gli altri capiscono quello che stai facendo, è fantastico, è magia.” Lebron Johnson ha sostenuto le sue capacità canore con una presenza scenica seduttiva e avvolgente, con momenti di intimità canora in contrasto con il brio mordente e frizzante degli strumenti. Anche nell’interpretazione di brani più ritmati, il giovane cantante ha mantenuto un contatto sottile con il pubblico, con il risultato di attivare più corde emotive. Andy Pitt è la montagna. Ha messo insieme un gruppo strepitoso di musicisti e gioca una leadership con intelligenza e lungimiranza; disinteressato ad emergere, ascolta la band con la sua anima e il suo intelletto. Tiene tutti insieme, cosciente dei singoli talenti e di come questi, fusi insieme, costituiscano potenzialità musicalmente e umanamente interessanti e non molla, non molla mai, Andy Pitt, quando crede in qualcosa. Sa che questa formazione funziona e si concentra sull’obiettivo, fondendo la dimensione artistica con la dimensione manageriale. Attiva un doppio focus, integrando “la visione individuale con quella panoramica; per esempio, sa che il batterista è un riferimento in termini di ritmo, suspence, attacchi e chiusure creative o simultanee e lascia spazio, libertà”. Andy Pitt appoggia la creatività musicale sul rigore tecnico e una forte disciplina. “La band si sente sicura di questa peculiarità e può aprirsi a ulteriore creatività” completa Paolo. La sua chitarra, con il suo tocco coraggioso, non è solo il riferimento blues della band, ne è anche il collante. “Quando Andy mi ha contattato mandandomi un demo e ho sentito il suono della sua chitarra, senza artifici, con il suono che piace a me, cioè il jack messo nella chitarra e nell’amplificatore, ho capito che c’erano margini per qualcosa di speciale. E poi il tocco delle sue dita senza tanti effetti, pedalini, filtri e tutte queste cose, solo il suono della chitarra e dell’amplificatore, beh, era il massimo” dice Paolo. La band è fantastica, ognuno col suo carattere personale e musicale, ognuno viaggia nelle proprie corsie preferenziali e c’è sempre una connessione comune per consegnare al pubblico un modo di fare musica ispirante, onesto, sincero.
Durante il concerto la band ha avuto il suo drammatico imprevisto: quasi all’inizio si è rotta la chitarra di Andy. “D’istinto abbiamo tutti pensato o di fermarci e aspettare che riparasse la chitarra, o di spingere il doppio. E così è stato: un assolo, un’improvvisazione, in attesa che Andy mettesse a posto la chitarra, per riprendere a suonare insieme”. Paolo Mazzardi deflagra con il suo assolo all’organo Hammond, travolgente che ci lascia senza fiato. Alla fine del pezzo al batterista sfugge un “grazie, buonanotte”, come a dire che avevano già dato il massimo. E invece, il massimo era ancora da scoprire. A colazione Andy Pitt mi racconta che, prima di partire aveva fatto controllare l’amplificatore, per poi scoprire che il problema era la chitarra che faceva contatto. Alla narrazione di Paolo, segue quella di Lebron: “Non ci preoccupiamo di sembrare perfetti e il pubblico apprezza questo nostro modo di essere. Siamo noi, come siamo, sia quando siamo sul palco che quando scendiamo dal palco”. E, in effetti, questo conferisce alla band una certa simpatia e una libertà di esprimersi musicalmente che entusiasma. “La ricerca della perfezione è un problema che non ci poniamo. Insieme ci siamo ritrovati in un’alchimia”, continua Paolo, “Il bello di Andy è di valorizzare la libertà che apre alla possibilità di creare qualcosa di ancora più bello.” Infatti va oltre le individualità per un risultato di gruppo. Lebron Johnson e la Band di Andy Pitt realizza un sogno: far parlare la musica, attraverso la valorizzazione delle diversità, la misura, il rispetto reciproco e la voglia di condividere con il pubblico, l’amore per il blues, il soul, l’R&B, rivisitati dalla peculiare sensibilità del gruppo, senza pretese, semplicemente nella vita che scorre. Alla fine, la bellezza di questa band, è proprio nella capacità di lasciare alla musica il suo protagonismo assoluto, proprio come ha fatto il blues con i dolori della vita.
(M.P.)